«L'editoria Usa è un circo»

Le accuse di David Leavitt Le accuse di David Leavitt «L'editoria Usa è un circo» mi TORINO I L pettegolezzo è come le I leggi razziali, se non sei dei I loro, dell'etnia che parla e —31 sparla, prima o poi ti fanno scappare. David Leavitt, capostipite dei «minimalisti» americani definizione che rifiuta sdegnato spiega perché, mentre si allunga la lista degli intellettuali che almeno a parole vorrebbero fuggire dall'Italia, lui e il suo amico si sono trasferiti a Firenze. «Perché negli Stati Uniti non si può più pensare racconta -, sei costretto a partecipare a un'infinità di party, presentazioni e feste di ogni genere. Lo richiede la macchina dello spettacolo-editoria. E se ti ritiri in campagna, come ho fatto io, finisci per fare il pensionato». Il «gossip» ti ammazza, rincara Leavitt, «si parla solo di soldi, di contratti, di cattiverie contro gli altri scrittori... Non pensi più, in quel frastornante vociare non riesci nemmeno ad avvertire la voce che hai dentro». E a questo si può riparare con la fuga. Ma il grido d'allarme di Leavitt si estende a tutta la macchina editoriale americana. Dalla quale, se vuol vedere pubblicati i suoi libri, non può fuggire. «Siamo in mano alle multinazionali a cui di cultura e di letteratura non importa nulla. La parola d'ordine è vendere». In sé, volerli vendere, i libri, non è peccato. Ma è l'evoluzione del marketing editoriale che scandalizza Leavitt. «Prima, le case editrici peimettevano allo scrittore di crescere. Non a caso il grande successo veniva al quarto-quinto titolo. Se c'era stoffa, allo scrittore si dava il tempo di maturare. Ora, invece, i manager dei libri hanno deciso che l'autore deve essere usa e getta. Un best-seller gonfiato e poi via, il secondo libro non interessa più. Vende e si corteggia solo il nuovo. Dopo un romanzo, anche David Leavitt se hai in serbo un capolavoro, sei già pronto per la soffitta». Quello che denuncia Leavitt è un «anti-conservatorismo» deleterio, «la trasformazione della letteratura in moda»: «Da noi si chiama "hype", questo nuovo modo di fare il mercato dei libri». Di drogarlo, insomma. Il mito dell'editoria americana, «nelle mani delle multinazionali è diventato un circo». E al balletto partecipa, perfettamente a suo agio, la fiera delle recensioni. «Negli Usa, la nuova moda è quella di dare le pagelle ai libri, non si spendono nemmeno più le parole, si semplifica tutto». E questo, in America, conta più che in ogni altro Paese: «A me, ad esempio - si spazientisce Leavitt - capita raramente di parlare con qualcuno che dica: "Ho letto questo, ho letto quel libro". A New York si dice: "Ho letto questa recensione, ho letto quella recensione"». Chissà, forse quello di Leavitt è un po' di astio per l'accusa rivolta al suo ultimo libro di essere una «brutta copia» di un capitolo dell'autobio . grafia del poeta inglese Stephen Spender. «Assolutamente no - risponde lo scrittore americano -, anche perché quella polemica è nata in Gran Bretagna e non in America. Ed è nata lì perché la cultura inglese, più di ogni altra, ha radici omosessuali ed è, stranamente, la più "gayfobica" del mondo». Da questo malessere, Leavitt si salva in Italia? «A Firenze sì. E' un'isola, è un mondo più che di artisti di amanti dell'arte e di restauratori. E non ci sono scrittori che spettegolano. La politica? Quella italiano non la capisco ancora e non mi interessa capirla. Comunque mi dicono che la Toscana e l'Ernila Bomagna sono due oasi...». Pier Luigi Vercesi David Leavitt