Firenze processa il suo incubo

Firenze processa il suo incubo Alla sbarra ci sarà l'agricoltore Pietro Pacciani: contro di lui tantissimi indizi, nessuna prova Firenze processa il suo incubo Si alza il sipario sui 16 delitti del «mostro» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Una domanda: la paura è davvero finita? L'incubo è lontano, dicono, volato oltre l'orizzonte, oltre il tempo. Eppure... Nelle migliaia di carte che compongono la storia, almeno quella processuale, dei misteri di Firenze, degli omicidi consumati in 17 anni da un maniaco assassino, una parola non compare mai: certezza. D'accordo, c'è un imputato e martedì lo processano, ma non esiste una prova provata che sia realmente il colpevole, il «mostro». Anche se Paolo Canessa, rappresentante dell'accusa in aula, assicura: «Siamo certi che gli elementi siano tali da non lasciare dubbi. Necessitano un dibattimento, è giusto che ci sia. Ma dubbi no». Sì, Pietro Pacciani, di anni 69, contadino, già condannato per aver ammazzato un uomo e violentato le figlie, è accusato degli otto duplici delitti avvenuti nei dintorni di Firenze, fra il 1968 e l'85, degli scempi consumati sulle vittime, della sfida al mondo. E quest'uomo primitivo pare tagliato apposta per il ruolo di colpevole, schiacciato da una montagna d'indizi e segnato da una vita scellerata. Il futuro se lo gioca nell'aula-bunker, ricordo dei processi di terrorismo: e dalla cella dov'è rinchiuso protesta la sua innocenza e piange e bestemmia. E scongiura il «mostro vero, se ancora vivo», di scagionarlo in qualche modo. Il processo Qualcuno aveva pensato alla «legittima suspicione», al sospetto che la città potesse mostrare ostilità verso l'accusato. Un dubbio ingiustificato, si disse poi, e così il dibattimento si terrà a Firenze. Tre udienze alla settimana, almeno per tre mesi. Oltre ai giudici «togati», il presidente Enrico Ognibene, e quello «a latere» Michele Polvani, quasi a garanzia di un equilibrio anche psicologico talora instabile, la corte sarà composta da tre donne e tre uomini; ancora due donne e due uomini, i supplenti. Rosario Bevacqua e Pietro Fioravanti, i difensori, promettono battaglia aspra. «Pacciani è quello che è: loro credono che sia colpevole, noi non lo crediamo», dice deciso l'avvocato Fioravanti. «E gli indizi non possono essere portati a prove, così con leggerezza: ci vogliono riscontri. Eppoi, se si guardano le accuse, ebbene, sono la copertura di un buco di 25 anni nelle indagini. E' un assurdo legare Pacciani ai delitti del mostro, soprattutto a quello del '68. Siamo convinti dell'innocenza di quest'uomo tenuto per quindici mesi in isolamento, nella disperazione più assoluta». Per dar forza alle proprie tesi la difesa porterà 43 testimoni, l'accusa cento in più. E i ricordi di questa folla saranno determinanti perché, si sottolinea, «col nuovo processo la prova va trovata in aula». Ad ogni udienza l'occhio curioso delle telecamere, compreso quello della Cnn, scruterà ogni espressione dell'imputato, tenterà di rubarne gli stati d'animo. Pacciani finirà per trovarsi a disagio per tutte quelle «attenzioni» ma la cosa non sembra preoccupare qualcuno: quando fu arrestato e i carabinieri lo fecero uscire da casa ammanettato, lui tentò di coprirsi il volto con un giornale, ma un fotografo o un operatore fece quello che, forse, non avrebbe mai fatto se le manette avessero stretto i polsi di un potente mafioso 0 di un camorrista: per fotografarlo meglio gli strappò dalle mani quel giornale con cui si copriva. Le vittime Sedici, tutti giovani, spesso poco più che ragazzi, sempre uccisi in coppia. 1 primi furono Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, a Lastra a Signa, mercoledì 21 agosto 1968. Erano amanti, furono sorpresi in auto: pochi colpi precisi e l'assassino svanì nella notte. Sabato 14 settembre '74, a Borgo San Lorenzo, tocca a Stefania Pettini e Pasquale Gentilocore. Da ora comincia il macabro rito: il maniaco tagliuzza il seno alla ragazza e le pianta un tralcio di vite nella vagina. Poi, ancora, tocca a Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio: Scandicci, sabato 6 giugno 1981. E la serie continua. Susanna Cambi e Stefano Baldi, Calenzano, giovedì 23 ottobre 1981. Antonella Migliorini e Paolo Mainardi, Montespertoli, sabato 19 giugno 1982. Jens. Huwe Ruesh e Horts Meyer, Galluzzo, sabato 9 settembre 1983. Pia Rontini e Claudio Stefanacci, Vicchio di Mugello, sabato 29 luglio 1984. Infine, Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, San Casciano, sabato 9 settembre 1985. Da allora, silenzio. I luoghi degli omicidi circondano Firenze e sembra quasi che l'assassino abbia voluto porre la città sotto una specie di assedio. I giovani, sorpresi si pensa a scambiarsi effusioni, furono ammazzati con freddezza. Ma al Galluzzo, l'assassino venne ingannato dai capelli lunghi di Ruesh e Meyer, addormentati in un camper: forse, solo dopo si accorse di aver sparato a due giovanotti. «Sceglie la situazione e il luogo, non le vittime», ha spiegato un giorno il criminologo Francesco De Fazio, dell'università di Modena, autore di un profilo del maniaco. «E' uno che segue la stampa e adegua la sua tecnica lasciando, però, la sua "firma" che sono i proiettili con una particolare rigatura. Per la prima volta ha asportato il seno di Pia Rontini, nel luglio '84: questo fatto seguiva di pochi giorni l'intervento su un giornale cittadino di un sessuologo che aveva fatto notare come il seno potesse rappresentare un simbolo materno. Lui ha uno stereotipo di maniaco e una percezione di se stesso modulata su come gli altri lo percepiscono, cioè, cerca di apparire come gli altri lo vogliono». E la gente come se l'è immaginato, per anni, il «mostro»? Alto, forte, intelligente, forse un professionista, freddo e disinvolto con le armi. Del resto, anche il profilo e una serie di dati messi insieme durante le indagini gli assegnavano caratteristiche simili. Ma, professore, non pare l'opposto di Pacciani? Ora De Fazio precisa: «La perizia non riguardava un solo possibile autore, ma delle tipologie d'autore». E la sua indagine? «Ha consentito di dire che si risaliva dalla tipologia dei reati, tutti esaminati, a una tipologia d'autore: che era un autore con tratti di perversio¬ ne sessuale, con determinato modus operandi nell'usare il coltello, la pistola. L'oggetto della ricerca era di consentire alla polizia d'indagare in alcuni settori anziché in altri». Ma com'è questo Jack lo Squartatore fabbricato in Italia? «Un'idea fisica e psicologica non me la sono fatta», confessa Mauro Maurri, il medico che ha eseguito l'autopsia su 14 dei sedici uccisi. Che vuol dire? «Che potrebbe essere ciascuno di noi, compatibilmente con l'età. Un professionista con la doppia vita? Forse. Ma potrebbe esser vero anche l'estremo opposto, con tutte le ipotesi intermedie». Quando prese a mutilare, qualcuno azzardò che il «mostro» fosse un medico. «Un chirurgo quei tagli li avrebbe fatti meglio, però, forse, ci avrebbe messo più tempo: e in certe situazioni il tempo è prezioso. In fondo, sono tagli relativamente facili: decisi e rapidi. Certo, all'assassino la mano non trema». Agisce in stato di raptus? «Se era raptus, lo era di tipo estremamente lucido perché ha fatto sempre le cose nel modo migliore, migliore fra virgolette, e più rapido possibile». Indagini Dopo il duplice delitto di Lastra a Signa venne seguita una traccia che portò a una colonia sarda: Stefano Mele, consorte legittimo di Barbara Locci fu il primo sospettato e poi arrestato. Un delitto d'onore, insomma, e l'uomo passò 14 anni in carcere. Mentre era detenuto il «mostro» colpì di nuovo ma nessuno aveva ancora collegato i delitti e così le indagini si rivolsero «in ogni direzione», come si dice per non dire niente. Più tardi fu la volta di Francesco Vinci, amante dell'esuberante Barbara ad essere arrestato: e mentre era in carcere la Beretta uccise quattro persone. Francesco Vinci, che aveva vissuto una vita, come si dice ai margini della legalità, ma dall'altra parte, l'estate scorsa fra i boschi della campagna pisana è stato ucciso a revolverate eppoi bruciato. E c'è chi sospetta quel delitto legato alla malastoria del «mostro». Quindi le manette toccarono a Giovanni Mele e Piero Mucciarini: ma ancora una volta il maniaco fornisce un alibi d'acciaio e uccide a Vicchio nel Mugello. Ancora: Salvatore Vinci, fratello di Francesco, sembra un colpevole quasi perfetto. E finisce in prigione. Come tutti verrà prosciolto, anche se con Pacciani è il solo fra gli indagati ad essere sempre libero quando il «mostro» colpisce. Ora è scomparso, dicono sia in Uruguay. Si va avanti anni con un'idea fissa che potrebbe anche essere l'unica certezza: l'assassino sarebbe alto più di un metro e 80. La convinzione deriva dalle misurazio¬ ni compiute al tempo dei delitti. I Mele e i fratelli Vinci raggiungono a stento una statura medio-bassa. E così Pacciani. Ma questo non significa molto, sottolinea qualche inquirente, perché uno potrebbe mimetizzarsi, magari camminando a passi artatamente lunghi, calzando scarpe di numero superiore e facendo chissà quant'altre diavolerie. Le armi Il maniaco ha usato sempre una Beretta calibro 22 serie 70, modello 71/72, in circolazione dal 1960; proiettili Winchester serie H-RL, scatole da 50. Fino al 1968 nella provincia di Firenze di quell'arma ne erano state vendute circa 12 mila. Impossibile rintracciarle, anche perché molti registri di vendita erano stati inghiottiti dal fango dell'alluvione del '66. Si cercò anche altrove, in Sardegna, naturalmente, ed è saltato fuori che una Beretta è scomparsa: apparteneva a tale Franco Aresi, di Villacidro, emigrato e morto in Olanda anni or sono. E si sottoliena come da Villacirdo provenissero anche i Vinci. Un gi&mo Piero Luigi Vigna, procuratore di Firenze, disse: «Se non troverò quella pistola, non sarò convinto di aver trovato l'assassino». La Beretta non c'è: allora, procuratore? «Allora non so dove sia. Ma dico che è facile nascondere un'arma». E oltre alla pistola, il bisturi o quello che è, usato per tagliare alle vittime mammella o pube. «Difficile stabilire che cosa sia: di fronte a una ferita da arma bianca, al massimo si può dire se è monotagliente o bitagliente», avverte il dottor Maurri. E quella usata dal «mostro» com'è? «Sembrerebbe monotagliente». Un coltello a serramanico, insomma, oppure un «amputante», uno strumento chirurgico che, si disse, in quegli anni era scomparso da una sala operatoria della cittadella ospedaliera di Careggi. Indizi Una cartuccia calibro 22, Winchester serie H, identica a quelle dell'arma del maniaco sembra il più clamoroso: l'hanno trovata nell'orto di Pacciani, a Mercatale. «Ce l'ha messa la polizia», ha già detto l'imputato. C'è dell'altro: l'accusa sostiene che un blocco da disegno tedesco non commercializzato nel nostro Paese e un portasapone trovati in casa di Pacciani appartenessero ai ragazzi ammazzati al Galluzzo. Eppoi, nel garage della casa di Mercatale è stata trovata l'asta guida-molla di una Beretta. Di più: la parola repubblica scritta con una sola «b» appare in una lettera di Pacciani alla procura e nel biglietto che accompagnava un brandello del seno di Nadine Mauriot spedito dal «mostro» al sostituto procuratore Silvia Della Monica subito dopo il delitto di San Caciano, l'ultimo. Infine, una coppia ha ricordato di aver visto, proprio dopo quel delitto, un uomo il cui volto, fermato in un identikit, sarebbe quello di Pacciani, Anni 80: questo almeno secondo l'accisa. «E io sono convinto che Pacciani non è il mostro di Firenze», dice con forza Nino Filaste, penalista fiorentino e scrittore. Perché? «Perché anche l'ultimo testimone, quello che ha mandato un disegno di un tale che ritiene essere il mostro, fa riferimento all'altezza, e parla di un metro e 80. E anche un testimone che avrebbe visto qualcosa per il delitto di Vicchio accenna a un uomo di quella statura. Pacciani sarà uno e 65». Dubbi, incertezze, perplessità, esitazioni: ecco di che cos'è impastato questo processo che è indiziario e, dunque, particolarmente complicato. Tanto che l'avvocato Luca Santoni, legale di parte civile per i parenti di Stefania Pettini e Pasquale Gentilocore e di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, avverte di aver «fin da ora mandato di chiedere l'assoluzione di Pacciani, se il dibattimento andrà in un certo modo». Perché? «Perché abbiamo un imputato che è un coitomane, d'accordo, ma il mostro ha sempre avuto un altro comportamento, è uno che taglia. Una personalità diversa, quindi non partiamo da elementi di condanna». E se il «mostro» non avesse agito da solo? «Il seno e il pube sono considerati ingredienti indispensabili per certi riti satanici, per esempio le messe nere. A guidare l'assassino, magari da lontano, possono esser slati altri», osserva il difensore, avvocato Fioravanti. Allora, una domanda: la paura è davvero finita? Vincenzo Tessandorì Ecco la ricostruzione dell'inchiesta sulla scia di sangue che ha seminato il terrore per 17 anni Il procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna