Buzzurri nella città dei Cesari e dei Papi di Lorenzo Mondo

r r EAL PANE 1 Buzzurri nella città dei Cesari e dei Papi RIMI giorni di scuola per più di 400 parlamentari neo-eletti chiamati a votare per la presidenza delle due Camere, dove è scesa l'età media ed è aumentato il numero delle donne. Insieme all'estinzione della vecchia nomenklatura, questi dati dovrebbero avvertirci che è accaduto qualcosa di irreversibile, che la mutazione generazionale e antropologica non lascerà le cose come prima. Eppure, nei resoconti di queste giornate, affiora qualche traccia di déjà-vu, e non mi riferisco alle pratiche di un Palazzo che sembra ancora veleggiare a vista tra le secche della Transizione. Penso alla calata su Roma di tanti onorevoli che recano i contrassegni del Nord. E' un fenomeno che si avverte fisicamente per la nutrita e motivata rappresentanza leghista. Arrivano da Bergamo, Brescia e Varese, anche dalle vallate piemontesi, da Verona e da Padova, ma con un forte imprinting lombardo: sono gli uomini di Bossi, riconoscibili dalla parlata dialettale, dall'abbigliamento disinvolto o sommario, dallo spirito di clan. Ma il Nord è anche rappresentato autorevolmente dalla specie berlusconiana, che esibisce un look ben diverso da quello dei leghisti tumultuosi e plebei. Esprimono nella ricercatezza del vestito e dell'acconciatura, nell'impazienza davanti ai percorsi lenti e tortuosi della politica, il culto della praticità e dell'efficienza, del tempo che vale denaro, di una agiatezza che - senza sapere nulla di calvinismo ed etica del capitalismo - è il naturale compenso di un lavoro ben fatto. Non sono tutti, beninteso, uomini del Nord, ma si considerano tributari di un rampantismo borghese sferzato, più che mortificato, dagli spifferi della crisi. Sono discesi, gli uni e gli altri, nel cuore della vecchia Roma che, all'ombra dei fastigi e delle consunzioni barocche, li accoglie con l'arguzia scettica e pigra del lasciarsi vivere, il ricordo di mille effimere conquiste. Quella che si esprime nelle battute bonarie e sfottenti di tassisti, camerieri e portieri d'albergo. Ma dove l'abbiamo già visto tutto questo? ^Tengono in mente le pagine faldelliane di «Roma borghese». Emilio Faldella, gran signore della Piana Vercellese, delibatore di delizie lessicali nonché coscienzioso deputato del Regno, raccontava divertito il primo impatto dei piemontesi con Roma capitale d'Italia. L'imbarazzo provinciale tra le pietre solenni della città in cui si sarebbero acquartierati ricostruendo le piazze e le strade di Torino, il dialogo pieno di malintesi con i nativi, le succulente attrazioni delle osterie fuori porta. Era, in altre parole, l'arrivo dei «buzzurri» nella città dei Cesari, dei Papi e dei borgatari. Ecco, ai piemontesi diventati inquilini di Roma per conquista regia sembrano sostituirsi oggi i «lumbard». Per diritto, si direbbe, di conquista televisiva. Oggi come allora dai palazzi curiali oltre Tevere, dove si patisce non una usurpazione territoriale ma un esproprio politico, arrivano segnali contraddittori. E anche le forze di «occupazione» apparivano divise tra moderati e radicali: sulla presidenza del Senato a Spadolini che, custode tenace dei valori e dell'immaginario risorgimentale, si trova a scontare adesso un curioso contrappasso; ma più ancora sull'humus costitutivo, sulla strategia di governo. E' stato significativo il silenzio stampa, la bocca cucita di Bossi. Ha puntato per una quasi beffarda scommessa sulla mascotte Irene Pivetti alla Camera; ha costretto Berlusconi all'azzardo di una candidatura debole come quella di Scognamiglio al Senato. Senza ignorare che una sconfitta di Forza Italia avrebbe rimesso in discussione gli equilibri dell'alleanza di Destra. Sullo sfondo, il ricorso a nuove elezioni come bluff o come dubbia spallata, e il test europeo del 12 giugno. Bossi, cui spetta legittimamente il titolo di Gran Buzzurro, alle prese con l'eccitante e sciroccosa aria di Roma capitale. Lorenzo Mondo u

Persone citate: Berlusconi, Bossi, Cesari, Emilio Faldella, Irene Pivetti, Scognamiglio, Spadolini