Mio zio mi violenta da quando avevo 8 anni» di Marco Accossato

« « Mio zio mi violenta da quando avevo 8 anni» La storia-simbolo di Piera al convegno sugli abusi sui minori Piera è una studentessa di Torino. Ha 15 anni e tanti sogni. Anche tanta paura e, nascosto a tutti, l'orrore per un dramma meno infrequente di quanto non si pensi: lo zio la violenta da otto a::ni. Alfredo di anni ne ha 40, un lavoro di impiegato, una moglie. Da tempo abusa della figlia, carnefice ma anche vittima: «E' emerso in terapia che da piccolo la madre gli ripeteva: sei un poco di buono, un fannullone. E lui si è adeguato al messaggio. Lo punivano per i giochi sessuali da adolescente: e ha sviluppato un comportamento maniacale; abusando della figlia cerca in modo deviante il rapporto affettivo che gli è mancato». Chi racconta queste storie, storie vere anche se i nomi potrebbero essere di fantasia, è Claudio Foti, psicoterapeuta e giudice onorario del tribunale per i minori. L'occasione viene dal convegno sull'abuso all'infanzia, organizzato da) centro studi «Hànsel e Gretel», che dal 1987 si occupa di tutela e promozione dei diritti dei minori. Il seminario si concluderà oggi con l'analisi dei possibili interventi psico-sociali e giudiziarii. «Un abuso sui minorenni - dice Foti - è innanzitutto una violenza psicologica, anche se non degenera in quella fisica. E' quindi necessario che gli educatori siano addestrati a leggere i sentimenti, conoscendo i meccanismi di difesa e rimozione che si riscontrano nel comportamento infantile». Ma quali sono i «traumi» che incombono sui bambini? Ancora Foti: «Loro hanno bisogno di confermare l'immagine positiva di sé, di idealizzare i genitori, e di comunione col prossimo. Nella famiglia "normale" queste rassicurazioni bilanciano i tipici conflitti e le sofferenze che si sperimentano quotidianamente con i genitori, a scuola e tra amici. Il trauma scatta quando il minore vive un'esperienza negativa e non può comunicare i sentimenti di disagio che prova». E' l'anticamera di un isolamento che è già sofferenza, e che il minore non riuscirà a superare neppure per chiedere aiuto quando alla violenza psicologica si aggiungerà quella fisica. Difficilmente denuncerà verbalmente un abuso. «Per questo - dice Adriana Pavese, insegnante - è necessario imparare a leggere i segnali che ci trasmette: basta un comportamento aggressivo o un'improvvisa introversione. Gli atteggiamenti a scuola sono un ottimo campanello d'allarme». Di fronte ad una denuncia, gli adulti sono in difficoltà: anziché identificarsi nella vicenda, spesso si allontanano da chi domanda aiuto. «E perché non si sentono di reggere una sofferenza che li coinvolgerebbe come fosse un problema loro». E scatta la delega: «Se ne occupi il ser¬ vizio sociale»: «Sono affari di famiglia». «Di fronte ad un atteggiamento sospetto, invece - sottolinea la Pavese -, non bisogna temere di indagare nel privato del bambino. Altrimenti il minore maltrattato diventa vittima oltre che della famiglia, anche della delega di chi potrebbe aiutarlo». Al convegno è stata presentata un'esperienza-pilota adottata dalla questura di Milano, che da oltre due anni opera nel campo dei maltrattamenti con una squadra speciale collegata al tribunale, alle scuole e alle Usi. «Abbiamo scoperto 250 casi di abusi, 150 arrestati - dice il vicequestore Stefania Chilosi raccogliamo le segnalazioni dalle insegnanti e dalle assistenti, avviciniamo i bambini a scuola e li inseriamo in comunità fino a quando non scopriamo cosa è accaduto nelle loro famiglie». Marco Accossato

Persone citate: Adriana Pavese, Claudio Foti, Foti, Stefania Chilosi

Luoghi citati: Milano, Torino