ADAMS trionfa il rock perbene

trionfa il rock perbene trionfa il rock perbene BOLZANO DAL NOSTRO INVIATO I motivi del successo di Bryan Adams sono ignoti a tutti, tranne supponiamo - a Bryan Adams e ai suoi fans. I quali fans sono legioni, sparsi nel vasto mondo: il giovanotto canadese arriva in Europa dopo aver rallegrato le folle del Sud-Est asiatico e dell'Africa. E' l'ultima strategia del rock: conquistare mercati un tempo depressi. La tournée è partita dal Vietnam. E per l'esordio nel Vecchio Continente ha scello l'Italia. Territorio nuovo per Adams: considerato fino a ieri un tipico clone springsteeniano, il biondino di Vancouver domina le nostre classifiche con 700 mila copie vendute dell'antologia «So Far So Good». Un'antologia, capite? Una raccolta di vecchi brani. Incredibile. Prima tappa, giovedì, a Bolzano. Giovani compostamente scatenati, palasport da 3500 posti esauriti da settimane, e il promoter Claudio Trotta in gramaglie, «che se c'era uno spazio più grande, vendevamo 8 mila biglietti». Pienone ieri al Forum di Assago. Sold out stasera al Palasport di Torino. E via conquistando, città dopo città. Ciò è bizzarro. D'accordo, Bryan Adams è bravo. Bravissimo, se volete. Bella voce rockettara, con venature bluesy; belle canzoni; bella band, tosta e pimpante. Bello pure lui: una personcina per bene, jeans e maglietta e faccino da ragazzo della porta accanto. Diverso dalle rockstar spocchiose che si credono padreterni e che invece, in un mondo regolato dal buon senso e non dall'apparenza, finirebbero a campar la vita in miniera. Tuttavia non c'è nulla di origi¬ nale, né di sconvolgente, nella sua musica: rock, rock, rock. Le canzoni sono repliche di altre scritte da altri in altre epoche: «Can't Stop This Thing We Started» è Beatles - i Beatles di «Revolution», ok? - e poi ritrovi i Ten Years After («Pack'In»), il rock'n'roll delle origini («Kids Wanna Rock», «Summer of '69»), le ballatazze da pomicio primi Anni Settanta («It'Only Love», «Everything I Do»), i bluesacci («In The Heat Of The Night»). C'è persino il chitarrista à la Hendrix che si chiama Keith Scott e che somiglia sputato a Neil Young. Ovvero, una faccia da vecchia star canadese alla corte di una nuova star canadese. Il bassista invece di nome fa David Tayler e somiglia al calciatore Ravanelli. Anche batterista e tastierista sono in gamba. Però non somigliano a nessuno. Prima di Adams e soci, sul palco compare, in veste di «band d'apertura», Brando: giovinotto catanese responsabile di alcune canzoni di singolare inutilità. Si potrebbe obiettare che pure le canzoni di Adams, in quanto non originali, sono inutili. Ma la merce sciorinata dal canadese è di prima scelta, servita con professionale sapienza. Piace in quanto normale, ovvia, tranquillizzante. E poi, Adams sa stare sul palco. Superando i maestri, in quantità se non in qualità: Springsteen ha il vezzo di invitare una spettatrice a ballare on stage? Beh, Bryan ne recluta una ventina, tutte a danzare nei bis. I quali bis, con simpatico colpo di scena, si svolgono su un secondo palchetto, sistemato in mezzo alla sala. Lì Adams e compagni giocano alla house band, al complesso da localino, e fanno le cover vere: «Shake», «C'mon Ev'rybody», «Lit¬ tle Red Rooster», classici del rock e del blues. Dichiarano le fonti. Sono allievi, epigoni, riciclatori: ma non plagiari. Onesti, insomma. Il ragazzo Adams, 35 anni ben portati, ha il dono della comunicativa, becca tra la folla un fan scatenatissimo e lo chiama: «Vieni a cantare con me». Il miracolato va e riesce a malapena a spiccicare il proprio nome, Bryan lo incalza: «Stefano, vuoi cantare? Tutti italiani cantano, canta anche tu!». E la band accenna «Volare», figuriamoci. Stefano resta lì, basito, mentre quelli di sotto lo incitano con amichevoli «scemo scemo». E' un concerto così. Da club, karaoke compreso. Può essere simpatico (a noi pare agghiacciante),

Luoghi citati: Africa, Assago, Bolzano, Europa, Italia, Torino, Vancouver, Vecchio Continente, Vietnam