lettere dall'italia. Uomini e natura dopo lo scoppio del pozzo 24 e il disastro ecologico di Trecate di Giorgio Calcagno

lettere dall'italia. Uomini e natura dopo lo scoppio del pozzo 24 e il disastro ecologico di Trecate lettere dall'italia. Uomini e natura dopo lo scoppio del pozzo 24 e il disastro ecologico di Trecate febbraio sono tinti di nero, le lampade degli operai sono accese anche in pieno giorno, si lavora, si fruga dentro, si spia il fondo dove la pressione della materia oleosa è tremendissima, ultrice inesplicata. Un simbolo, il pozzo N. 24. Un chiodo con la punta di diamante che punge un luogo d'abisso. Un grande patibolo alzato in mezzo al gulag delle risaie morte. Un botilo annerito che indica oggi il punto di una manifestazione della potenza chtonia. E' pura apparenza che siano le mani umane a guidare ormai questi coacervi di macchine e di materia stuzzicata, le volontà nostre sono accettate, come finzione, finché non ne contrastano il dominio. La verità è il potere dello schiavo-strumento sull'uomo, il più basso potere che possa immaginarsi. dell'appuntamento. Stesso significato di uno svelamento di essenza, in grido (il fischiare, suono del grande serpente risvegliato) di annientamento. Anche a Trecate sono al lavoro le squadre di decontaminazione arrivate con centinaia di enormi macchine rosse e gialle. Fanno la pulizia ai tetti, agli orti incoltivabili, ai vasi del basilico, alle cancellate, ai marciapiedi, lasciando fuori i reni e i polmoni. La città si è fatta marziana, occupata, convertita dalle tute bianche, dal rosso e dal giallo. E' una strana normalizzazione da tempo di guerra tacita, con sapore amaro di tregua che sarà rotta soltanto dall'altra parte, perché da questa non c'è che la passività, l'impotenza. Questi paesaggi di squilibrio e di contrasto dovrebbero attrarre gli scrittori, sempre sulla loro sedia paralitica della «giornata splendida», dei «filari a perdita d'occhio», della «risacca multicolore», della «monotona pioggia che cadeva»; ma no, li ignorano... Per loro, evidentemente, la Peste non esiste. E la peste modifica il dentro e il fuori, il volto di tutte le cose non sta cambiando, è cambiato. Trecate procura un brivido nuovo, è una testimonianza non sospetta, chi ha orecchie farebbe bene a non tenerle lontane dalle zone del grido muto, come questa, fintamente pacificata. Ci stanno togliendo la parola, Errore umano e Materia E' logica non-pensante parlare di cose «sfuggite al controllo», di «errori umani»: nulla sfugge al controllo, perché il controllato alla perfezione è l'essere umano; e dietro l'errore umano c'è l'indeviabile, perfettamente centrata volontà della materia di essere servita da questi errori. Il pozzo N. 24 è uno dei tanti fratelli del reattore di Cernobil, che non era controllato ma controllava, che parve inatteso ma aspettava l'ora Trecate, quindicimila abitanti: la sconvolgente immagine del 28 febbraio trettante di anidride solforosa. A sud, se le beve in gran parte il Comune di Cerano coi suoi settemila abitanti, dove la crescita dei tumori polmonari è stata, dopo trent'anni di convivenza, la più forte della zona. Sottoterra, la metropolitana dei tubi ha la sua rete sterminata. Unico passeggero, d'acqua e di terra, il Petrolio. Viene una certa vertigine. Il pozzo N. 24 è un patibolo provvisorio; San Martino lo è per sempre, conta il passare delle generazioni. I ghiacciai della catena alpina che inumidisce laggiù l'orizzonte sono in ritirata; il petrolchimico invece si estende. Ci sono cisterne colossali, grandi come superpetroliere da marea nera, presenze schiaccianti, immobili. La notte somiglia alla città incendiata del terzo scomparto del Trittico del Fieno di Bosch. Nella vita scema di ogni pensiero che facciamo, il comportamento passivo è l'unico immaginabile. Si reagisce, qualche volta, a comando: niente di più passivo. Incessanti stimoli artificiali riempiono i giorni, le ore, per ispessire il velo, far cagliare l'opacità. L'onnipotenza dell'inquinamento s'incrinerebbe, se solo si cominciasse a comprenderlo. Ma la sua onnipotenza consiste proprio nella sua incomprensibilità. Il Piemonte è oggi tutto quanto e in profondità inquinato. Ha il capoluogo sotto smog permanente, ha depositi di scorie radioattive tra i più pesanti (Saluggia), ha industrie chimiche incontrollabili, campi petroliferi, inceneritori infestanti, riserve di gas e di greggio un po' dappertutto, il Po già sporco a Saluzzo, una mappa dei rischi ambientali ben nutrita, e certamente incompleta. Il pudore dovrebbe suggerire di non esaltare continuamente lavoro e produzione come valori. unica dignità superstite, le macchine. In pace e in guerra i veri parlanti sono loro. Le macchine decontaminatrici sono la risposta all'urlo del pozzo N. 24, vengono da tutti e da nessun luogo; gli esseri umani da dire non hanno più niente, il loro linguaggio si è fermato alla salute del congiunto e al tempo che fa, al dramma della spesa, anche in mezzo ai disastri. Per me, questi viaggi sono ritrovamenti e conferme della memoria poetica, perché nei poeti autenticamente chiamati degli ultimi due secoli, come in qualche luogo aggiustabile delle rivelazioni scritturali, in sogni e visioni, tutto quel che sperimentiamo come desertificazione e martirio ecologico fu antiveduto. cosa delle antiche maschere guerresche. I corvi non li temono, gli uomini girano al largo. Ci sono non so quante risaie non più seminabili, non so quanti raccolti perduti attorno al pozzo N. 24, ma prima del 28 febbraio, erano ancora vere risaie? E' ancora una terra da vivi quella che nasconde più tubi da veleni che la nostra pancia intestini? Da più di trent'anni la monocultura risicola ha ammazzato il vario paesaggio biologico, modificato i ritmi della vita. Da più di trent'anni il diserbo chimico ha offuscato la purezza del chicco e negato l'ingresso alle rane, ai rettili, ai pesci, agli insetti. La convivenza col petrolio di un'agricoltura così sfigurata dalla chimica non può essere, nonostante tutto, che pacifica, tristemente. Non è l'oro di Zeus, l'oro nero. Il pelago annerito della zona colpita è perso per ogni tipo di fecondità, si cammina tra solchi imbevuti di petrolio, e l'albero che cominciava a inverdire è buono adesso per un balletto di penduti. Però dove la nube non si è scaricata, meraviglia l'energia che il tempo primaverile sprigiona per contrastare il passo al nero col proprio verde. Là c'è come una frontiera, una dogana improvvisata; sull'orizzonte il parco del Ticino resta una salvezza minacciata, un fragile osservatorio contro l'allargarsi del deserto. Si medita sulla fondamentale ambiguità degli esseri umani, an¬ che qui. L'albero che ha preso il petrolio è morto; quello rimasto fuori è vivo. La città che ha preso e prende petrolio è rimasta viva, eppure non tutto è più come prima. Per noi la via mortis non è mai semplice. Nelle cucine e nelle camere da letto ultradeterse la cellula tumorale impiega anni, decenni a corrodere un polmone che riceve ogni giorno, ogni momento, fino ad assuefarsi, un poco di aria strana, dall'odore di idrocarburo. Dappertutto hanno messo centraline che misurano la sporchezza dell'aria, ma l'inquinamemto mentale, quel diabolico barattare contro denaro abbondante una definitiva resa ad un potere che trasforma le città in ricettacoli di veleni, chi lo misura? C'è davvero da rallegrarsi per la presenza di tante banche bene imbottite di risparmi? Più cancro di tutto, a Trecate, è il petrolchimico SARPOM, nel sobborgo di San Martino, cui l'AGIP ha aggiunto da poco il proprio Centro Olio per raffinare il greggio dei suoi pozzi. Là c'è, di specialmente evidente, una dislocazione dell'umano in forme di sopravvivenza (perfino trovi villette, per abitarci stabilmente) che solo un misterioso accecamento può aver ritenuto accettabili. Di là Columbian, Agip, Bugatti, Erg Petroli, Esseco, Esso e altre società ancora bombardano l'atmosfera con un migliaio di tonnellate annue d'idrocarburi, con diecimila di polveri, con al- Contaminazione e risarcimenti Se non si cercano spiegazioni altrove, allora non sono che brontolìi vaghi, proposte di rimedi che potrebbero essere attuati ma che non lo saranno; non per cattiva volontà, ma per la forza della fatalità. Il disastro ecologico non insegna nulla, non eccita la rivolta, istupidisce soltanto; tutti sanno a Trecate che l'AGIP rappresenta un potere non contrastabile, da cui si prende quello che offre: rischi, contaminazione, occupazione, risarcimenti. Ogni pozzo è un simbolo della forza, orribile e insieme fascinatrice, la stessa La fatalità incombe Una fatalità che incombe su una condizione umana non è un valore. Ci trascinano e basta... Solo la penuria, l'impotenza di linguaggio, conseguente alla semiparalisi del pensiero, può trattare una simile economia come valore, e anche corno economia. Neppure questo nome corrisponde alla res nominata. Quanto alla goffaggine di una vanteria come «l'Italia uno dei Sette Grandi» sarebbe un segno di ripresa mentale se la si coprisse di scherno. La cronaca ha registrato a Trecate anche una processione propiziatrice, mentre cominciavano ad affluire in città le formiche bianche dell'AGIP. Guido Ceronetti Dossena: un volume che nasce da Tuttolibri Montale. 0 il «Lamento di Franceschiello», nel quale Fra Diavolo doppiamente diabolico, come il suo nome - volta l'Inno di Garibaldi: «Si velan le culle, si corcano i nati / i vostri aguzzini son tutti sdraiati! / Le palme sul palmo, le viti all'addome/ il fumo e il cognome/ di Canicatti!» Se ci fosse un premio, lo daremmo a Domenico Garelli per l'ultimo verso di «Lo zero» (L'infinito): «e navigar m'è amaro in questo stagno». Anche se ci tenta Giovanna Landi con «Parco Ruffini spogliato all'antica», dove ogni buon torinese riconoscerà «Oh! Valentino vestito di nuovo». Attenzione, prima di prendere il libro. Bisogna guadagnarselo, oltre le 12 mila lire richieste in libreria. Prima, si deve studiare il Bove e, se possibile, «Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti», come volevano gli insegnanti di allora: che forse erano un po' rétro, ma ci hanno fatto tanto bene. Giorgio Calcagno

Persone citate: Bove, Bugatti, Domenico Garelli, Dossena, Erg Petroli, Giovanna Landi, Guido Ceronetti, Ruffini

Luoghi citati: Comune Di Cerano, Italia, Piemonte, Saluggia, Saluzzo, Trecate