PHILIP ROTH SOGNA UN'ALTRA DIASPORA

PHILIP ROTH SOGNA UN'ALTRA DIASPORA PHILIP ROTH SOGNA UN'ALTRA DIASPORA Le ossessioni di un ebreo scomodo dalla compagna di lui, una provocante ex infermiera diventata filosemita per amore (naturalmente ci finirà a letto). Intanto, un po' come nei sogni, quando si impostano delle situazioni che però non si concludono mai, Roth entra in contatto con vari aspetti della vita a Israele: si affaccia al processo di Demjanjuk, vede il romanziere per cui è venuto, ma si lascia anche sballottare qua e là da altri individui in cui si imbatte casualmente, per esempio da un amico arabo, che gli mostra un brutale episodio di repressione poliziesca da parte dei dominatori; e in un altro incontro apparentemente fortuito un vecchio signore, che si presenta come un gioielliere in pensione, affettando di scambiarlo per il falso Roth gli consegna un milione di dollari per la causa della nuova diaspora. Da ultimo l'intrigo, che si è venuto sempre più infittendo, comporta un intervento dei servizi segreti israeliani, per conto dei quali lo scrittore finisce per accettare una missione sulla quale però non veniamo illuminati, in quanto il capitolo che la descrive è omesso, dietro richiesta dei predetti servizi segreti. Così almeno ci dice l'autore, e noi noi non sappiamo se e quando e l'ino a che punto dob¬ biamo credergli quando nel testo dichiara di avere apposto la dicitura «Questo libro è un'opera di fantasia» allo scopo di poter così riferire la verità. Ma prenderlo alla lettera non è importante, quello che conta è l'immagine della schizofrenica realtà israeliana quale emerge dal cocktail di documenti e finzioni, memoria e proiezioni visionarie. Malgrado la scorrevolezza di una prosa sempre leggibilissima, il risultato può peraltro apparire un tantino sconcertante. Non che l'autore del Lamento di Portnoy rinneghi la sua nota immagine di ebreo scomodo, contestatore di tanti tabù, vedi quando qui sembra voler mettere in seria discussione lo stesso diritto dei suoi consanguinei di trovarsi in Palestina. E' che le varie sfaccettature della questione sono esposte in modo così tortuoso, così programmaticamente ambiguo, da finire per non comunicare al lettore comune molto di più del senso di disagio appassionato e caotico indubbiamente provato dal vero Philip Roth. dentemente un impostore, il quale si spaccia per lo scrittore famoso - rilascia dichiarazioni, incontra uomini politici, e insomma si impegna in una campagna personale per diffondere certe sue idee sullo Stato Ebraico. Dopo aver parlato con questo impostore per telefono, senza farsi riconoscere, il vero Roth va ad affrontarlo al King David Hotel, dove costui alloggia: e si trova davanti a un assurdo personaggio che cerca di convincerlo non solo della bontà della propria missione, ma addirittura a continuarla lui. Inorridito dalla violenza dell'imperialismo degli israeliani e temendo l'imminenza di una guerra rovinosa, il falso Roth, che forse è un ex investigatore privato di Chicago afflitto da una malattia terminale, vuole persuadere gli ebrei a ricominciare la Diaspora, ovvero a tornare nelle nazioni da cui sono fuggiti e che secondo lui li riaccoglierebbero a braccia aperte; a tal uopo e sempre sotto mentite spoglie si è fatto ricevere da Lech Walesa e ne ha ottenuto garanzie circa la buona disposizione dei polacchi. Indignato ma allo stesso tempo suo malgrado affascinato dal suo rozzo alter ego, il vero Roth un po' lo ascolta, un po' cerca di ridurlo al silenzio; è anche sessualmente attirato NT EL 1988, in seguito a una grave crisi depressiva provocata, come scoprì quasi casualmente, dal micidiale Halcion, tranquillante in seguito messo al bando in molti Stati, Philip Roth si recò a Gerusalemme allo scopo di intervistare lo scrittore Aharon Applefeld per il New York Times; e mentre si trovava sul posto, seguì alcune udienze del processo contro John Demjanjuk, l'autista ucraino residente a Cleveland accusato di essere il boia di Treblinka noto agli internati come Ivan il Terribile. Questi i fatti assodati, ribaditi dall'autore in una nota in coda al suo ultimo e massiccio volume, Operazione Shylock: una confessione, che per il resto potrebbe essere tanto una narrazione veridica di quelli e altri episodi capitatigli durante quella spedizione, quanto una fantasia dostoievskiana mescolante avvenimenti autentici e allucinazioni forse favorite dai postumi dell'intossicazione di cui sopra. Il racconto di Roth comincia dunque col narratore che convalescente dalla malattia, mentre si accinge a volare in Terrasanta per la sua missione giornalistica, apprende che colà un altro Philip Roth - evi¬ GUGLIELM

Luoghi citati: Chicago, Cleveland, Gerusalemme, Israele, Palestina