non abbandonò il duce

non abbandonò non abbandonò quartiere mossa contro l'idealismo da tutti gli altri settori della cultura nel dopoguerra, pochissimo è stato fatto per approfondire il carattere, le ragioni dell'adesione del filosofo siciliano alla Rsi. Il poco che è stato scritto ha riguardato soprattutto la sua uccisione, sulla quale, del resto, non si può certo dire, come ha notato Gennaro Sasso con la finezza e l'equilibrio che lo contraddistinguono, che sia stata fatta ancora veramente luce. Per il resto l'accento è stato posto su una meccanica identificazione attualismo-fascismo, che, oltre tutto, è per molti versi opinabile (e anche a questo proposito basta rifarsi a quanto scritto dal Sasso per comprendere quanto la questione sia più complessa) e sulla sua «estrema coerenza» che non poteva fargli fare altra scelta di campo. In realtà il problema è più complesso. E sorge addirittura il dubbio che lo si sia voluto liquidare per la via breve per non mettere in discussione l'identificazione attualismo (e idealismo in genere)fascismo. Affrontarlo come meriterebbe è in questa sede ovviamente impossibile. Pochi accenni possono però forse bastare a mostrare quanto esso sia complesso. Una prima questione da valutare è quella dell'atteggiamento di Gentile nei 45 giorni e che è difficile considerare quello di un fascismo outré. Significativo è a questo proposito quanto, se letti spassionatamente, rivelano il suo carteggio con Fortunato Pintor (edito da po- Gentile - di cui proprio oggi cade il cinquantesimo anniversario dell'uccisione per mano di un gruppo di partigiani comunisti - alla Rsi. Nonostante l'eccezionale statura filosofica e l'importanza di organizzatore della cultura italiana che Gentile ebbe, e la lotta senza chi mesi) e gli attacchi che gli furono mossi al tempo della Rsi da vari settori del fascismo repubblicano e non solo da quelli che sempre erano stati ostili alla sua «egemonia». Una seconda questione da valutare è quella della sua posizione nella Rsi. Una posizione che, a ben vedere, si configura più in termini nazional-patriottici che fascisti in senso proprio. E, infine, una terza, più personale che politica; probabilmente quella che più pesò sulla sua adesione a Salò pur sapendo che molto probabilmente non sarebbe uscito vivo da quell'avventura, mentre tenersene fuori altrettanto probabilmente non gli avrebbe fatto correre rischi personali. Uomo di grande passionalità e umanità, ciò che dovette muovere Gentile a prendere posizione per la repubblica fu quasi certamente la sua stima e la sua fiducia in Mussolini. Per Soffici non abbandonarlo in quei frangenti fu «un atto dovuto», tutto sommato più a se stesso che a Mussolini, un atto, questo sì, di coerenza. «Vedi - spiegò a Primo Conti -, la donna che c'innamorò quando era adolescente, ora è vecchia, brutta, ammalata. Scappare da lei sarebbe un'ignobile viltà: bisogna stare vicini al suo letto e sopportarla, anche maleodorante». Per Gentile il rapporto con Mussolini fu molto più che un atto di coerenza personale. Fu un atto di umanità e al tempo stesso di fiducia in lui: solo lui poteva evitare che la situazione precipitasse lungo la china dell'estremismo più fanatico e sulla guerra civile senza quartiere. Da qui il dovere di non lasciare Mussolini solo, di sostenerlo e di aiutarlo. C'è a questo proposito una sua lettera, ancora inedita, scritta il 16 dicembre 1943 da Firenze a una vecchia amica, che era anche la compagna del vecchio senatore Vittorio Rolandi Ricci, in quel momento uno dei più ascoltati collaboratori non ufficiali di Mussolini, che ci pare lasci a questo proposito poco adito a dubbi. In essa Gentile scriveva: «Sapevo della visita che Vittorio avrebbe fatto al nostro Amico, che ha bisogno di sentirsi intorno italiani di senno, di coraggio e di sicuro patriottismo. Bisogna aiutarlo; e che Dio lo aiuti per la nostra salvezza». Renzo De Felice

Persone citate: Fortunato Pintor, Gennaro Sasso, Mussolini, Renzo De Felice, Soffici, Vittorio Rolandi Ricci

Luoghi citati: Firenze, Salò