Progressisti in fila per tre

Progressisti in fila per tre Progressisti in fila per tre Gruppo unico, e D'Alema batte Occhetto LASCIA LA RETE ROMA. Nella bolgia dei duecentosessanta onorevoli progressisti al primo giorno di scuola, si fa largo Ottaviano Del Turco, si piega e sussurra a Massimo D'Alema: «Hai fatto il colpo, eh?». E D'Alema: «Ma quale colpo, ho fatto una battaglia politica...». Colpo o battaglia, la sostanza non cambia: nella convulsa trattativa che alla fine ha portato i progressisti a dividersi in tre gruppi parlamentari (pds assieme a Rete, Verdi, Ad, Cristiano sociali; Rifondazione; psi), in realtà si è giocata la prima, dura battaglia per la nuova leadership nel pds. E il primo match l'ha vinto Massimo D'Alema. Dietro le quinte, il «Poulidor del pds», l'eterno numero due della Quercia, si è battuto per il gruppo unico (obiettivo in gran parte raggiunto), mentre Occhetto, favorevole al coordinamento tra gruppi autonomi, si è convertito soltanto all'ultima ora. Un incrociar di sciabole giocato tutto dietro le quinte, nulla è apparso in superficie e questo ha permesso ad Occhetto di sfoderare il sorriso e di dire ai cronisti nanziamento da parte delle presidenze delle Camere e soprattutto avrebbe consentito agli ipotetici gruppi Rete-Verdi e Psi-Ad di disporre di un proprio capogruppo, di una burocrazia, insomma dei piccoli vantaggi del potere. Poi martedì mattina il colpo di scena. All'assemblea a porte chiuse del pds, Occhetto presenta le due opzioni quasi alla pari, ma è spiazzato subito dopo da D'Alema che sposa senza esitazioni l'ipotesi gruppo-unico e annuncia di «ritirare la propria candidatura se è di ostacolo al progetto». Bel colpo: uno dopo l'altro, i deputati pidiessini sono tutti con D'Alema. Alla fine è un coro: «Gruppo unico». Incassato il successo dell'assemblea, D'Alema va da Napolitano e gli annuncia: «Io mi sono fatto da parte e penso che il miglior presidente del gruppo unico potresti essere tu. Io non torno al partito e sono a tua disposizione». E' un «uno-due» da kappaò. Per tutta la giornata di mercoledì gli uomini di Occhetto cercano di parare il colpo. Alla fine è costretto a scendere in campo lo stesso segretario. Per tre ore - fino alle 22,30 - Occhetto si rinchiude in una stanza con gli altri leader progressisti. C'è un clima teso, i partiti sono divisi al loro interno e i Verdi si presentano addirittura in sette «perché scherza il portavoce Di Francia non ci si fida molto uno dell'altro...». Alla fine vincono gli «autonomisti»: ognuno farà gruppo a sé, ma con uno stretto coordinamento e un impegno «ad operare per la costituzione di un gruppo unico», come è scritto nel documento che sigla l'accordo. Sembra finita, ma non è così: la Rete scalpita, metà dei Verdi sono per il gruppo unico, anche in Ad ci sono gli «unionisti» (Giovanna Melandri, Miriam Mafai) e così ieri mattina, nuovo vertice dei leader. Per il pds c'è Occhetto. Ma c'è anche D'Alema, che si spende per il gruppo unico e la spunta, perché alla fine si dissociano soltanto i socialisti. Finalmente, ieri pomeriggio, la soluzione viene illustrata all'assemblea dei parlamentari: a fianco del pds ci sono Ad, Verdi, Rete e cristiano-sociali. Del Turco, l'unico che resta fuori, denuncia il vecchio «vizio egemonico del pds». Il nuovo gruppo unico avrà Giorgio Napolitano come probabile capogruppo alla Camera, mentre al Senato il favorito è il repubblicano Libero Gualtieri. Massimo D'Alema poi nei fatti - cioè nelle riunioni a porte chiuse - i capi del pds, di Ad, del psi, di una parte dei Verdi (Mattioli e Ronchi), obiettavano, convenivano che la strada del coordinamento tra gruppi autonomi era «una soluzione praticabile». Una soluzione che, oltretutto, permetteva di portare a casa circa un miliardo in più di fi-

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