Melograni così nacque il consociativismo di Fabio MartiniPierluigi Battista
UNO STORICO RILEGGE IL'60 UNO STORICO RILEGGE IL'60 Melograni: così nacque il consociativismo lontà delle segreterie di partito». Fu questo il vizio d'origine che la partitocrazia volle far pagare a Tambroni, tanto che, sottolinea Melograni, ^dirigenti de «aspettavano Tambroni al varco, come in una partita di caccia». Ma il «pretesto» per fare i conti con Tambroni fu fornito alla de dalla convocazione del congresso del msi a Genova. Un «pretesto», sottolinea Melograni, e non «un'insopportabile provocazione» a una «città medaglia d'oro della Resistenza», come vuole l'interpretazione più consueta. «Il msi esisteva da quattordici anni e aveva già tenuto un congresso nazionale a Milano, che della Resistenza era stata l'epicentro», eccepisce Melograni. Il quale ricorda che «nel '57 il de Adone Zoli era riuscito a formare il governo» grazie «al sostegno determinante dei deputati missini» senza che ne seguisse un'«insurrezione». Ma la ricostruzione di Melograni non si limita all'aspetto più propriamente storico e investe invece una questione politica che oggi appare di grande attualità. Secondo ROMA EL luglio del 1960 i portuali di Genova e tanti ex partigiani d'Italia dissero di voler difendere i valori della Resistenza» e invece «contribuirono ad armare la diabolica nave dei compromessi consociativi e deUe tangenti». Esce sull'Espresso in edicola da domani un saggio dello storico Piero Melograni destinato a rinfocolare le polemiche sulla storia dell'Italia antifascista ribaltando la tesi più accreditate sulle vicende drammatiche che si addensarono attorno alla figura di Fernando Tambroni, con la mobilitazione della piazza contro un governo appoggiato dai neofascisti del msi. Un nervo scoperto: i fatti del luglio '60 sono infatti tornati d'attualità nella prospettiva di un nuovo governo che vedrà la partecipazione diretta del movimento sociale e con la sinistra che ha indetto una massiccia mobilitazione per il 25 aprile. Ma Melograni ribalta il giudizio sul fenomeno Tambroni accettato dalla maggioranza degli storici. Innanzitutto «nel 1960 il Fernando Tambroni regime partitocratico esisteva già», come già era stato denunciato da Cesare Merzagora che esortava il «mondo politico» a ritrovare «rapidamente il piacere dell'onestà». Invece il governo Tambroni, secondo Melograni, «possedeva un carattere anomalo proprio perché sfuggiva alle regole del regime partitocratico» giacché era «nato per volontà del presidente della Repubblica Gronchi e non per vo¬ 10 storico, infatti, i dirigenti del msi si stavano proponendo di «creare un partito diverso inserendosi decisamente nell'area democratica». Una prova: gli estremisti di Ordine Nuovo avevano lasciato 11 msi nel '56, quelli di Avanguardia nazionale nel '59. Ma soprattutto, secondo Melograni, fanno fede le dichiarazioni dell'allora autorevole esponente missino Filippo Anfuso, secondo cui «il suo movimento avrebbe voluto sanzionare la rottura ideologica col fascismo storico, cambiare nome e ottenere una piena legittimazione costituzionale». Niente da fare, secondo Melograni: la rivolta antifascista stroncò il tentativo di Tambroni rendendo però, come conseguenza oggeitiva, «un servizio alla de e all'intero sistema partitico» e soffocando «una vera e democratica competizione tra maggioranza e opposizione» che né la de né il pei volevano realizzare in Italia. Tambroni come martire della «partitocrazia»? Fabio Martini Pierluigi Battista
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