Da oggi a Venezia un grande congresso internazionale WAGNER il fascino della crisi di Massimo Mila

Da oggi a Venezia un grande congresso internazionale Da oggi a Venezia un grande congresso internazionale WAGNER il fascino della crisi .Intervista con Massimo Cacciari VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Il sindaco di Venezia, il filosofo Massimo Cacciari, stringerà oggi la mano a Wolfgang Wagner, erede del nonno Richard al Festival di Bayreuth, accoglierà i partecipanti al wagneriano congresso internazionale che si apre stamane, assisterà al Tristano alla Fenice. Fra un assessore e l'altro, nel suo ufficio in Comune, il filosofo-sindaco parla del suo Wagner. Alterna sfrattati e Tetralogia, Marghera c Parsifal con pari competenza. Professor Cacciari, perché Wagner interessa i filosofi? «Perché è assolutamente moderno. L'estetica romantica era centrata sulla musica, considerata culmine delle arti e organo supremo del conoscere e della vita. Un rapporto così stretto fra musica e filosofia si instaura proprio con Wagner, specie nell'area tedesca». Qual è la storia del suo rapporto con questo musicista? «Mio padre metteva su dischi di Wagner e io li ascoltavo da bambino. Una conoscenza più approfondita risale ai vent'anni: allora avevo paraocchi adorniani. Adorno vedeva in Wagner il grande esponente della decadenza europea, il premonitore di certi aspetti, i più tragici, nella reazione del '900: una lettura sociologica e politica, che condividevo un po'. Più tardi tornai a Wagner grazie a Luigi Nono, con più spirito critico e con Nietzsche, che non è soltanto contro Wagner. Un amo et odi classico, il suo: la critica di compiacere il gusto del pubblico nasconde un'attenzione da amante. Nietzsche capisce il Wagner dei particolari, delle cose infime, delle miniature, lo scioglie in microcosmi. Bisogna aspettare Carlos Kleiber e le letture analitiche più recenti per avere questo Wagner. Ma quando Nietzsche lo accusa di essere un istrione, uno stregone dalla teatralità nazional-popolare, ha ragione: in Wagner le ragioni della visione prevalgono spesso su quelle dell'ascolto. Wagner va visto a occhi chiusi». Perché è così difficile interpretarlo? «S'è fatto di Wagner un pessimista vicino a Schopenhauer, oppure un drammaturgo della redenzione, prendendo per buone le critiche di Nietzsche. Ma Wagner non è un filosofo. E' musica. Mai leggerlo come musica-programma». Lei come lo giudica oggi? Dopo le dispute sul l «L'ultima volta che l'ho ascoltato a fondo, per qualche mese, è stato sette anni fa: il Tristano di Kleiber, la Tetralogia di Boulez e Furtwàngler, I maestri cantori di Furtwàngler... Mettevo i dischi, li rimettevo, prendevo appunti, giravo, tenevo i testi in mano... Detesto ascoltare stando seduto a teatro, detesto quell'immobilità. Non mi piace neanche l'atteggiamento del pubblico estasiato. Ascoltare è per me un lavoro e un grandissimo divertimento insieme. E' una ri-creazione in senso letterale: un ritrovare, un far affiorare altre energie. Niente di sentimentale». Si può dire che Wagner ha contribuito alle sue ricerche filosofiche? «Io lavoro con idee espresse in parole; le idee-musica, le idee espresse in suoni mi sono meno familiari perché non dispongo di competenze tecniche. E tuttavia tanti autori al di fuori del mio campo mi hanno organizzato la mente, o disorganizzato: da Wagner a Mahler e Schoenberg, Webern, Richard Strauss e altri, in musica; Klee, Mondrian e Kandinskij in pittura; Kafka e Musil in letteratura». C'è una dimensione comune a questi autori? «Il tramonto dei linguaggi universali. Wagner è un tentativo estremo, un grande crinale. Tutti questi autori aprono i linguaggi della crisi: comincia la grande sperimentazione, l'opera in-definibile». C'è nostalgia in Wagner per l'unità o l'universalità perduta? «Alcune volte emerge». E in lei? «Io sono al di là di ogni crisi. Siamo la crisi della crisi». Si riprende a parlare oggi di mito, di eroi... «Una lettura mitologica o eroica di Wagner è farsesca, un pericolo per l'intelligenza». Secondo lei, sindaco di Venezia, che cosa amava di più Wagner in questa città? «La solitudine, la lontananza, la stessa aura che ritroviamo in Morte a Venezia di Thomas Mann, altro grande wagneriano. Il Wagner di Mann è quello diretto da Furtwàngler, il Wagner monumentale delle grandi architetture, il Wagner che sogna l'ultima grande opera d'arte. Un atteggiamento nostalgico. Il mio Wagner è invece in chiave antiteatrale, antimonumentale, antimitologica: secondo le pagine segrete di Nietzsche, che procede per indizi e scova tesori nascosti». Claudio Altarocca ibro della tredicenne bos si Solacap NlASSmO MILA Il musicologo Massimo Mila

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