Il leader russo a Barcellona per un consulto: circolano calunnie sulla mia salute Un chirurgo nella suite di Eltsin di Gian Antonio Orighi

Il leader russo a Barcellona per un consulto: circolano calunnie sulla mia salute Il leader russo a Barcellona per un consulto: circolano calunnie sulla mia salute Un chirurgo nella suite di Eltsin «E' sano come un pesce» I Per salvare gli ultimi 33 italiani La Folgore in azione nell'inferno di Kigali Nella capitale massacrati tre francesi I tutsi: guerra a tutti gli stranieri nostro servizio Le voci sulla cattiva salute di Boris Eltsin e sui suoi crescenti dolori di spalla, che girano da tempo a Mosca, sono stati seccamente smentiti ieri mattina a Barcellona - dove il Presidente russo ha concluso la sua visita ufficiale di tre giorni in Spagna - dall'equipe medica del dottor Josep Llovet Tapiès, il chirurgo che lo operò di un'ernia del disco nel '90. Dopo una visita di mezz'ora nella suite che Eltsin ha affittato nel lussuosissimo hotel «Juan Carlos I» del capoluogo catalano, Llovet, visibilmente compiaciuto, ha rilasciato dichiarazioni rassicuranti: «Abbiamo constatato l'eccellente saluto del Presidente». Subito dopo la sua diagnosi di chirurgo ortopedico, ha spaziato su un terreno di cui, in teoria, non dovrebbe sapere granché: «L'accusa che Eltsin soffra di cirrosi epatica (vecchio sospetto riproposto in tutto il mondo giorni fa grazie ad un reportage del network Usa Nbc, citando fonti dell'intelligence americana) è un'invenzione frutto di una immaginazione esaltata e, come ha detto il Presidente, dei suoi oppositori». Il capo del Cremlino, raggiante, ha ribadito ancora una volta la litania di sempre: «Sono i comunisti a mettere in giro e diffondere le MOSCA. Un grande cimitero ebraico di periferia, semiabbandonato e invaso dalle erbacce, è diventato ieri il simbolo dei rigurgiti antisemiti in Russia, e anche del ritorno a un passato di intolleranza nazionalistica e religiosa. La notizia della profanazione di 166 tombe a San Pietroburgo è il più grave episodio del genere da decine d'anni. Ha messo in allarme la comunità ebraica della città, ma non ha destato sorpresa. «Purtroppo non possiamo dire che la cosa abbia stupito, in una società avvelenata da antisemitismo e nazionalismo», ha commentato un portavoce dell'associazione ebraica «B'Nai Brith». E Arkadi Khanin, capo della comunità ebraica della città, ha ricordato che «di profanazioni nei nostri cimiteri ce ne sono ogni anno, ma agli ebrei non è consentito di proteggere le loro tombe». [Ansa] GERMANIA KIGALI. I tutsi del Ruanda hanno dato ai militari stranieri presenti nel Paese 24 ore per andarsene. Claude Dusaidi, rappresentante del Fronte patriottico ruandese (in lotta contro la tribù degli hutu), ha fatto sapere ieri al Palazzo di Vetro dell'Onu che scaduto l'ultimatum, fissato per questa mattina, le truppe occidentali che proteggono lo sgombero dei loro concittadini «saranno impegnate in combattimento». Per quanto riguarda i Caschi blu in Ruanda, invece, Dusaidi ha detto che il Fpr si augura «che restino nel Paese». Quarantacinque incursori delle forze speciali italiane (30 del Col Moschin c 15 del Consubin) sono partiti ieri dall'aeroporto di Nairobi a bordo di un C-130 dell'Aeronautica militare per raggiungere Kigali. In cooperazione con le forze belghe parteciperanno alle operazioni di recupero di italiani segnalati alla periferia settentrionale della capitale ruandese. Si è inoltre appreso che un'altra unità del battaglione Col Moschin potrebbe essere trasferita in Ruanda per entrare in azione a Kilima, 40 km a Sud Est di Kigali: anche lì sono stati segnalati italiani in difficoltà. Finora, il ponte aereo ha tratto in salvo 165 italiani su una collettività di 198 residenti. Quanto agli altri italiani ancora bloccati in Ruanda - 33 secondo i dati ufficiali - si spera di salvarli tutti entro oggi. Resteranno nel Paese cinque o sci religiosi che non vogliono abbandonare i confratelli di colore. Le tre suore spagnole, Pilar Diez Espelosin, Amparo Munoz e Margarita Banch, ed la loro consorella ruandese Cora Minardin, che erano rimaste intrappolate nella zona montuosa di Kibuye, 140 chilometri ad Ovest di Kigali, sono state portate in salvo dai soldati belgi. Ieri in Ruanda sono stati uccisi altri tre francesi (due gendarmi e la moglie di uno di loro, portando il totale a sei); li hanno massacrati nelle loro case. Ieri 3 mila guerriglieri tutsi hanno assunto il controllo dei centri nevralgici della capitale. Kigali continua a essere bombardata dalle artiglierie e dai mortai dell'Fpr, mentre è in atto l'esodo verso i confinanti Burundi, Tanzania e Zaire. Un convoglio di una decina di auto di lusso, a bordo delle quali c'erano probabilmente alti esponenti governativi, ha superato una colonna di profughi che fuggivano dalla città. I ribelli tutsi e militari hutu si sono dati battaglia strada per strada nel centro della città, mentre un elicottero ha bombardato le postazioni del Fronte patriottico. La BBC ha dato notizia di massacri anche nelle cittadine a Ovest e a Nord Ovest di Kigali. Nel Nord del Paese i tutsi hanno conquistato le città di Ruhengeri, Byumba e Matura. [e. st.] Boris Eltsin con re Juan Carlos di Spagna [FOTOREUTER] gnostici». La visita durò quattro giorni e lo staff, composto da sei persone, gli raccomandò riposo, niente sport e di dimagrire. Il pericolo di una paralisi, reale, è sempre stato un'ossessione di Eltsin. Nel '90, prima dell'intervento, disse scherzando: «Operatemi perché non starebbe bene che il futuro Presidente dell'Unione Sovietica fosse paralizzato ad un piede». Il leader del Cremlino, si dice, ha avuto due mesi fa un'altra ricaduta. Annunciò a sorpresa la visita ufficiale in Spagna. Ma siccome andare in ospedale a Barcellona avrebbe riacceso nuove voci e ipotesi, Eltsin ha inventato un curioso stratagemma: ha sempre negato che andava a farsi visitare, solo voleva salutare i suoi amici, i medici catalani. In un hotel. Ma come fare per giustificare la trasferta nel capoluogo catalano? Una visita al museo olimpico. Solo che ieri ha cambiato il programma ufficiale ed ha fatto fare anticamera alle autorità locali per ricevere prima i medici. Ed ha voluto incontrare anche Sergi Bruguera, che gli ha regalato una racchetta da tennis, il suo sport preferito. Piede e cirrosi permettendo. Gian Antonio Orighi