E si chiamò rock'n'roll

Quarant'anni fa lo sconosciuto Bill Haley incideva «Rock Around The Clock» Quarant'anni fa lo sconosciuto Bill Haley incideva «Rock Around The Clock» E si chiamò rockVroll Dal fiasco alle stelle, via Presley Comincia oggi «Da Sodoma a Hollywood» «0 ci date più soldi o lasceremo Torino» Parla Minerba, direttore del Festival Curdo presenterà il libro «Princesa» EVAN Hunter cominciò come insognante. Da cinque anni era uscito dal servizio navale della seconda guerra mondiale e aveva appena terminato un corso per veterani. «Offrivano diplomi d'emergenza per l'insegnamento, se ti interessavano i problemi della scuola - dice. - Insegnavo in due posti. Nella South Bronx Vocational High e nel Metal Trades College. Era la fine del 1950 e non mi piaceva. Ero un idealista. Pensavo che stavo per dare Shakespeare a questi ragazzi che volevano diventare dei meccanici, che lo avrebbero apprezzato, ma non lo avrebbero comprato. Sera dopo sera tornavo a casa in lacrime. Così lasciai». Tre anni dopo, questo newyorchese faceva lo scrittore c vendette il suo primo romanzo a Simon fr Schuster. Il 12 aprile del 1954, a Hollywood, il giovanotto ventottenne concluse un contratto con la Mgm per la vendita del romanzo «Blackboard Jungle». Era il racconto di un giovane insegnante idealista che però non lasciava. Nello stesso giorno, un gruppo di musicisti senza successo - Bill Haley and His Comets - si insabbiavano in mezzo al fiume Delaware, a bordo del traghetto Chester-Bridgeport. Haley arrivò con due ore di ritardo per registrare alcune canzoni per la Decca, nello studio della 70a Strada, a New York. Una di quelle canzoni era «Rock Around The Clock». In questo modo, quarant'anni fa, stava per cominciare il rock'n'roll. In questo modo una canzone avrebbe segnato un'epoca. La carriera del ventinovenne Haley procedeva a rilento. Nato in un sobborgo di Detroit, cresciuto in Pennsylvania, negli Anni 40 faceva la fame, suonava nella cintura industriale del Nord-Est con i Down Homers e con i Four Aces of Western Swing. Nel 1952 il suo gruppo cambiò definitivamente nome: da Saddlemen a Comets. La sua era la vita di tutte le band marginali, tra città di provincia e bar pidocchiosi. Ma Haley aveva talento, che consisteva soprattutto nella capacità di ascoltare e riprodurre la musica nera. In particolare, metabolizzava quella for¬ «Tempi maledetti» di Lilian Hellman. Il giorno in cui Haley registrò «Rock Around The Clock» e Hunter firmava il contratto con la Mgm, era anche il giorno in cui il padre dell'atomica americana, J. Robert Oppenheimer, veniva sospeso dalla Us Atomic Energy Commission; le accuse includevano l'innamoramento per una comunista, il matrimonio con un'ex comunista e il rifiuto di costruire la bomba H. In «Blackboard Jungle» non esisteva il rock'n'roll, semplicemente perché questa espressione non esisteva quando Hunter scrisse il romanzo. Ma c'era nel film. Glenn Ford, che inter- ma urbana nota come rhythm and blues. Haley vi aggiungeva pennellate di swing western, curava le parole e nel 1953 coglieva un piccolo successo con «Crazy Man Crazy». Ma Haley continuava a fare la vita precaria di sempre. Era l'epoca di Eddie Fisher e di Doris Day. Certo, c'era il jazz e c'erano Frankie Laine e Johnny Ray, ma andava per la maggiore la musica che favoriva il babyboom delle periferie. La canzone di Haley costituiva una novità, era un passo avanti rispetto alle correnti commedie televisive sui bulletti con tendenze comuniste. Erano tempi contraddittori. I Bill Haley, l'uomo che 40 anni fa prima incise e poi portò al successo «Rock Around The Clock» A destra: Renzo Arbore a Al posto di «Freisa y Chocolate», la rassegna presenta «Desperate remedies» (Rimedi disperati), di Main e Wells, neozelandese, melodramma sovversivo sul ménage tra due donne. Tra le proposte delle sezioni (concorso, documentari, fuori concorso, eventi speciali) altre pellicole provenienti da tutto il mondo: «Lunarie Theatre» (Teatro pazzo), giapponese; «Temporada de caga» (Stagione di caccia), brasiliano; «Zone sweet zone» (Zona dolce zona), australiano. «E' interessante vedere come si sta ridisegnando la geografia del cinema a tematica omosessuale - spiega Minerba - Certo, nel panorama mondiale, sono ancora gli Stati Uniti e l'Inghilterra a farla da padrone, perché sono i Paesi con i movimenti omosessuali più forti e attivi. Però le cose si stanno muovendo anche altrove». E l'Italia? «E' al novantanovesimo posto rispetto al resto dell'Europa - dice Minerba - anche se pian piano qualcosa sta cambiando, specialmente nei cortometraggi». Un buon segno, per gli organizzatori di «Da Sodoma a Hollywood», è l'aumento del pubblico al festival. I dati sulle edizioni dal '91 al '93, dicono, mostrano un raddoppio degli spettatori alle proiezioni. Domani la rassegna prosegue con un altro appuntamento di rilievo (alle 18,30), la presentazione del libro «Princesa», storia di una transessuale. Il romanzo è pubblicato dalla casa editrice Sensibili alle Foglie, di cui è direttore editoriale Renato Curcio, che sarà presente all'incontro. TORINO. «Abbiamo ancora una volta lavorato in prospettiva. Per quest'anno è andata così, viste le buone intenzioni e le buone parole dell'amministrazione cittadina. Ma è l'ultima volta. O nel giro di due o tre mesi le cose si risolveranno, o lasceremo Torino». La nona edizione del festival di cinema gay «Da Sodoma a Hollywood» si apre oggi con un aut-aut. Il direttore Giovanni Minerba è stufo. Troppi gli ostacoli alla rassegna - la mancanza di soldi, di una sede, della sicurezza di una continuità nel tempo - a cui si vanno ad aggiungere problemi legati ai pregiudizi. «Alcuni distributori italiani non ci hanno dato le pellicole per paura di "bollarle" con il marchio dell'omosessualità». Per questioni di questo tipo oggi è saltata la proiezione di «Freisa y Chocolate», un film cubano appartenente della sezione Eventi speciali: «Era molto interessante, peccato», commenta Minerba. La prima giornata di rassegna si apre con uno dei pezzi forti del festival, alle 18,30 al cinema Massimo. E' un omaggio a Derek Jarman intitolato «There we are John» (Eccoci qua John) di Ken McMullen, una delle ultime interviste a Jarman, in anteprima. Il regista, morto lo scorso marzo di Aids, è un po' il simbolo di questa rassegna, che propone molte pellicole sulla malattia. «E' una tendenza che ricorre nel cinema omosessuale - conferma Minerba a volte anzi si ha la sensazione di un abuso del tema, come se andasse di moda. Quest'anno abbiamo dovuto scegliere tra un maggior numero di pellicole, alcune davvero molto belle, altre brutte». Giovanni Mine