Il Papa non va in Libano rischia la vita

Per la prima volta Giovanni Paolo II costretto a rinunciare a una missione apostolica Per la prima volta Giovanni Paolo II costretto a rinunciare a una missione apostolica Il Papa noa va in Libano: rischia la vita 7/ nunzio a Beirut: questo viaggio equivale a una condanna a morte CITTA' DEL VATICANO. Papa Wojtyla devo rinunciare - per il momento - ad andare in Libano. Il viaggio era previsto dal 28 maggio al 1° giugno; ma «avvenimenti gravi e imprevedibili ha annunciato ieri il portavoce del Papa, Navarro Valls -, hanno provocato forti tensioni e turbato l'ambiente in modo tale che esso non sembra ancora adatto al carattere pastorale della visita auspicata». E' la prima volta che Giovanni Paolo II deve cambiare programma a meno di due mesi dalla data della partenza per uno dei suoi blitz pastorali. Ma la decisione era nell'aria. Decisivo è stato il parere del nunzio a Beirut, Fabio Pucntc, in Vaticano in questi giorni; un parere negativo. «Nessuno vuole prendere la responsabilità di firmare quella che potrebbe essere una condanna a morte», ci ò stato detto con una buona dose di franchezza ieri oltre il Portone di Bronzo. In effetti il timore di una provocazione, anche violenta, è cresciuto dopo la strage compiuta nella basilica di Nostra Signora in un quartiere a Nord di Beirut, e la scoperta di altri ordigni - prima che esplodessero - in altre chiese. E' una decisione «presa con tristezza», hanno spiegato ieri in Vaticano, e il Papa spera che «sia capita da tutti e considerata ispirata dai medesimi sentimenti di benevolenza verso i libanesi che avevano fatto prima desiderare e poi programmare il viaggio stesso». Così sono state consultate le più alte autorità libanesi, «altre personalità», l'Assemblea dei patriarchi e vescovi cattolici, e poi si sono tirate le somme: «rinviare il viaggio di qualche tempo, fino a un momento più proprizio, affinché esso ottenga i frutti sperati». «Difficoltà di varia natura» sono apparse, e fra queste certamente la frattura fra cattolici. Una larga parte dei fedeli maroniti, seguaci di Aoun e di Geagea, non volevano il Papa in Libano, perché la sua visita avrebbe di fatto legittimato il governo filosiriano e la presenza nel paese dei circa quarantamila soldati di Damasco, vissuta da molti come una vera e propria occupazione. Altre difficoltà e resistenze sono emerse in campo musulmano, dove si temeva che l'arrivo di Papa Wojtyla avrebbe potuto giocare contro il processo di progressiva islamizzazione del paese. E infine anche lo stallo nel processo di pace in cui sono coinvolti Israele, palestinesi, Giordania, Siria e il Libano stesso ha avuto un ruolo nel consigliare un rinvio «sine data». Marco Tosarli I NEMICI DELLA PACE BEIT HANINA DAL NOSTRO INVIATO La palazzina bianca della Società Islamica ha un recinto alto di pietra, e larghe sbarre di ferro nelle finestre. Sotto il viottolo che porta alla palazzina, c'è un posto di blocco israeliano, con due file di soldati e una torretta dalla quale vigila una mitragliatrice. La Società islamica è diretta dallo sceicco Jameel A. Hamami, un uomo di 42 anni, sposato, con 6 figli «e una vita felice». Lo sceicco mette in chiaro che lui non è il capo di Hamas in Israele, e nemmeno il suo portavoce; ma che parla solo come un uomo di studi capace di interpretare le posizioni di Hamas, che ieri ha ribadito le minacce di morte ai coloni e agli osservatori internazionali (tra cui 35 militari italiani) che dovrebbero recarsi a Hebron. In realtà Jameel A. Hamami è una delle più alte personalità del fondamentalismo arabo, direttore del Collegio islamico, per lunghi anni responsabile della sacra moschea di Al Aqsa (cuore di ogni credente). Rifiuta di assumere qualsiasi ruolo ufficiale, ma è stato messo in galera per 4 anni dagli israelia- ne* «, ■*tf$.yz£:t«tt ne* «, ■*tf-$.yz£:'t«tt ne* « *tf-$yz£:'t«tt Il Papa convinto dai vescovi libanesi a rinunciare al viaggio pastorale in Libano: rischia un attentato da parte degli estremisti cristiani e musulmani. Nella foto piccola un guerrigliero di Hamas che venne a Gaza e ne restò tanto colpito da esprimere un forte giudizio di condanna. Bene, nel giro di poche settimane fu sostituito: anche il governo inglese era sotto l'influenza della lobby sionista». Lei, prima, parlava di liberazione della Palestina occupata. Intendeva dire dei Territori Occupati? «No, dell'intera Palestina, di quella che è la nostra terra dal Mar Rosso al Mediterraneo». Dunque voi negate il diritto dello Stato d'Israele a esistere? «Nient'affatto. Noi diciamo che Israele ha ogni diritto di essere uno Stato. Ma non nella nostra terra: che lo faccia in qualsiasi altra parte del mondo, e che ponga termine all'occupazione». Facciamo finta di credere, comunque, che nei prossimi giorni il negoziato del Cairo avrà una soluzione, e che gli israeliani lasceranno Gaza e Gerico. Quando su quella parte, almeno, di Palestina ci sarà la bandiera palestinese, voi che farete? Vi metterete in guerra con la nuova amministrazione palestinese? «No, agiremo come un'opposizione democratica, se ci sarà un ordinamento democratico. E comunque noi siamo contro ogni assassinio politico». Condannate, quindi, anche il massacro di Afula? «Afula è stato un episodio della resistenza palestinese all'occupazione israeliana, non un assassinio politico». Arafat, quando arriverà a Gerico, dovrà temere per la propria vita? «Come uomo, non deve temere. Noi siamo contro gli assassini politici, l'ho già detto. Ma, certo, come leader politico deve temere molto: noi abbiamo condannato la sua linea di cedimento all'occupante». tornano. «Ne avevano ogni diritto. E Israele li sta usando solo per mascherare la continuazione dell'occupazione». E allora che dire del fatto che i palestinesi chiedevano osservatori internazionali a Hebron, e Israele, alla fine, li ha accettati? «Lei deve sapere che l'Onu è uno strumento nelle mani di Israele e degli Usa. Gli osservatori non aiuteranno affatto i palestinesi, serviranno solo a rafforzare la divisione di Hebron tra coloni e palestinesi. Il fatto è che voi, in Occidente, non riuscite a capire la nostra sofferenza, non siete capaci di mettervi nei panni di chi subisce l'occupazione e viene per di più invitato a legittimarla. Voi, in Occidente, non avete fatto nulla per aiutarci». Lei mi sembra piuttosto ingeneroso. «Ma io non parlo dei soldi e delle medicine che talvolta ci avete mandato». Nemmeno io. Parlavo, invece, dell'appoggio che larga parte dell'opinione pubblica occidentale ha dato alla lotta palestinese. «Mi dica un po': perché l'Occidente del quale lei mi parla non è riuscito a mettere assieme una coalizione contro Israele, come ha fatto contro l'Iraq? Noi abbiamo condannato l'occupazione del Kuwait da parte di Saddam, ma quell'occupazione era la stessissima cosa dell'occupazione della Palestina da parte d'Israele. E per il Kuwait si è mobilitato il mondo, mentre per la Palestina si fanno solo chiacchiere. I media occidentali, in realtà, sono sotto l'influenza sionista». Non le sembra eccessivo? I sionisti che controllano l'Onu, i sionisti che controllano l'opinione pubblica mondiale... «E' la verità. Pensi al ministro degli Esteri inglese David Owen,