La poesia corre dentro al vetro

Josef Albers alla Guggenheim Josef Albers alla Guggenheim La poesia corre dentro al vetro EVENEZIA NA metafora mitica non raramente applicata alle vicende dell'arte contemporanea è quella di Saturno che divora i propri figli, tanto più se riferita allo strato superficiale e alle giravolte affannate e tumultuose delle mode, poetiche e critiche. Una mostra stupenda, nel suo rigore storico e nella sua dimensione lirica, come quella dedicata fino al 10 luglio dalla Collezione Guggenheim ai vetri assemblati e sabbiati dal 1921 al 1932 di Josef Albers (Bottrop nella Ruhr 1888-New Haven 1976), con l'aggiunta di esempi luminosi - scrivo in senso letterale - dei suoi dipinti Omaggio al quadrato dal 1950 alla morte, trent'anni fa avrebbe significato un doveroso omaggio italiano ad uno dei massimi maestri dell'arte astratta e dell'arte contemporanea in assoluto. Oggi rischia di apparire anacronistica, laddove semplicemente ripara ad una inadempienza culturale: tralasciando questa nota testa di ponte Usa, la prima ed unica personale italiana si ebbe a Ferrara nel 1989; non a caso per iniziativa di un astrattista optical nazionale come Getulio Alviani. Essa propone non solo al nostro occhio, ma soprattutto alla nostra sensibilità ed emozione, quando queste non si limitano alle avventure saporose e fantasiose, una qualità molto alta e molto pura di forma. Specificamente, si tratta di una forma spirituale del colore e della luce di chi, esponente di primo piano e docente in due templi della razionalità laica contemporanea quali in Germania il Bauhaus a Weimar, Dessau e Berlino, e negli Usa, il Black Mountain College in North Carolina -, perseguì un'idea mistica e cristiana della luce, dalla vetrata iniziale Rosa Mistica ora prò nobis a Bottrop fino alla Vetrata della Croce Bianca nell'Abbazia di St. John a Collegeville nel Minnesota, del 1955. Il percorso della cinquantina di vetri nella mostra, destinata a passare da Venezia a Roma al Palazzo delle Esposizioni, con catalogo Guggenheim, di perfetta eleganza, con saggi di Fox Weber, autore del catalogo dei disegni di Albers, e di Fred Licht, è di crescente limpidezza e rigore nel rapporto fra luce, struttura e colore, sempre più essenzializzata nei valori primari, fino al puro rapporto fra il bianco opalino del vetro opaco di base e il nero e il grigio. Albers entrò come allievo nel 1920 nel Bauhaus appena fondato e le sue prime opere qui esposte colpirono talmente Gropius da fargli riaprire il laboratorio del vetro, di cui l'ex maestro elementare divenne apprendista docente nel 1922 e maestro nel 1925.1 primi quadri su vetro su basi o ingabbiature metalliche, del 1921, esuberanti di entusiasmo pittorico, sono assemblati con frammenti di recupero, spesso fondi di bottiglia. Licht giustifica queste prime scelte di tecnica e di materiali con le miserande condizioni della Germania sconfitta, escludendo rapporti con la cultura dadaista. La realtà visiva impone invece l'evidenza di questo rapporto e di un'ulteriore vocazione espressionista. E' indubbio invece lo spirito profondamente diverso rispetto ad ogni nichilismo e ribellismo, l'entusiasmo persino ingenuo per la gioia della luce colorata, forse una nostalgia delle preziosità devozionali dell'Alto Medioevo. Ma presto, dal Quadro reticolato del 1921 fino a Parco del 1924, lo spirito del Bauhaus con le infiltrazioni neoplastiche di Van Doesburg porta ordine, ritmi di quadrati e rettangoli, equilibri di colori puri. Tuttavia in questo ordine, in nome di un'intatta limpidezza lirica, si insinua sempre una sorta di fratellanza ideale con i sogni di Klee, attraverso le vibrazioni della luce colorata. Con Officina del 1925 Albers compie il passo decisivo, inscindibilmente tecnico e formale, con le sue gabbie orizzontali e verticali su vetro opaco «accoppiato» da una pellicola di vetro sottilissima, in genere nera e rossa, lavorata a sabbiatura. Queste tricromie primarie, tutte giocate su rettangoli e quadrati di varie dimensioni ed estensioni, costituiscono il tipo d'immagine più nota di Albers, alla radice di molte varianti dell'astrattismo internazionale; la sua straordinaria ambiguità ottica è a sua volta un fondamento essenziale della visualità «optical». L'altissima qualità poetica di Albers fa sì che egli superi le secche dell'antinomia fra figurazione ed astrazione, slittando con agevolezza dalla forma pura al paesaggio urbano del secolo, dall'officina al grattacielo, fino ai ritmi in bianco e nero di Interni e Finestre e ai giochi parasurreali di Allargaguanti, Tastiere, Cornicioni. Marco Rosei Allargaguanti ( 1928), un vetro sabbiato di Josef Albers