Mortinazzoli rompe l'esilio volontario

L'ex segretario torna a parlare ai militanti: «Cambiare nome all'Italia? Solo stupidaggini» L'ex segretario torna a parlare ai militanti: «Cambiare nome all'Italia? Solo stupidaggini» Morrinnzzoli rompe l'esilio volontario «Amici, il 25 aprile tutti in piazza» TRAVAGLIATO (BS) DAL NOSTRO INVIATO Arriva sotto la pioggia, dopo nove giorni di silenzio e di esilio, in questa piazza della Bassa padana, entra nella sala comunale Nicolini, parla per 50 minuti, infiamma i 300 militanti («Non permetteremo che si manometta la Costituzione. Il 25 aprile torneremo tutti in piazza. Reagiremo») e poi volta le spalle, scompare, torna in quella che lui chiama: «La solitudine che illimpidisce». Eccolo qua, tra nuvole nere e rari sorrisi, Mino Martinazzoli, l'eroe iracondo, il leader venerato di questo partito popolare nato per metà già orfano, vaso di coccio tra il ferro della destra e gli ingranaggi rugginosi della sinistra. E' venuto «non per pronunciare le parole dell'attualità», ma per «guardare lontano e da lontano questa politica diventata commedia dell'arte», per dire «che lui c'è», con tutti i suoi sospiri, con tutto l'orgoglio di «non dirsi sconfitto», per «ricominciare» con la pazienza «e la forza della ragione», Cita Bobbio, Aron, Dahrendorf, Sturzo, D'Annunzio. Dirà: «Basta con questo catastrofismo. Abbiamo attraversato la cruna dell'ago e a chi ci voleva cancellare, noi diremo: ci siamo. In tanti, in pochi, magari da soli, ma andremo avanti». Arriva (con 30 minuti di ritardo) dentro a un applauso fragoroso. Va a sedersi dietro alla tavola azzurra - tra il giovanissimo segretario provinciale Emilio Del Bono e un paio di deputati mancati - e se ne sta lì, in silenzio, con gli occhi chiusi e le dita aggrappate alla faccia. Entrando, qualcuno gii ha chiesto: cosa ne pensa dell'idea di cambiare nome all'Italia? E lui, infastidito: «Non mi occupo di stupidaggini». Tornerà a fare politica? «Non ho mai smesso». Accetterà la presidenza del partito? «Scordatevelo». Martinazzoli avrà pure cambiato vita, ma non stile. Dice: «Le decisioni che prendo sono irrevocabili. Non crederà mica che mi sono preso qualche giorno di ferie? Sono e resto irrimediabil- mente infastidito da questo folclore politico». Dice che bisogna tornare a scavare nelle radici, dice che bisogna tornare a lavorare nella periferia, non per organizzare la «lunga marcia», ma per pensare in lungo. Per questo, lo scorso 30 marzo, il giorno dell'addio romano, ha voluto tornare padrone del suo tempo. E tutto lo infastidisce: «Lei vorrebbe un'intervista? Magari il prossimo anno». Da nove giorni l'ex segretario, ha scelto un esilio che non ha niente di eroico, niente di romantico. Assomiglia alla vita di tutti. Magari triste, pe' ò puntuale: alle 9,30 in studio, alle 19 a casa. Niente più scorta (non l'ha mai sopportata) un solo accompagnatore (Mino è «un obiettore di patente»), tale Giambattista Groli, segretario di sezione a Castanedolo. «No, non si è ancora rimesso a fare l'avvocato, per ora legge e scrive» racconta il suo amico Tino Bino, commercialista di Iseo, che lo accompagna, da almeno una dozzina d'anni, non solo nei pellegrinaggi politici, ma anche nelle passeggiate preferite: a Montisola, quando è di umore lacustre, oppure su per i monti dell'Alta Val Trompia. O nelle zingarate tra i paesi della Bassa, dove vanno a caccia di vino rosso, polenta, salame fresco e la grappa di Franciacorta. Sarebbe proprio la vita tran¬ quilla di un uomo tranquillo, se non fosse per quel postino che ogni mattina, da dieci giorni, arriva in via Gramsci, Brescia, con una doppia spanna di lettere per il «preg.mo Mino Martinazzoli, c/o Studio Legale Associato». Il pacco fila su al nono piano, dove la segretaria si lascia scappare un sospiro: «Ancora...», e posa tutto li, sulla scrivania del pregiatissimo già coperta di altre lettere, altri telegrammi, altri fax, e poi i libri ammonticchiati, i pacchetti di Muratti, i giornali. Le lettere, lo sanno tutti, contengono un unico lamento, una sola perorazione, la stessa speranza: «Mino, torna, abbiamo bisogno di te». Scrivono dalle sezioni e dalle segreterie locali, dalle vecchie sedi de appena ridipinte e magari diventate austeri bilocali senza tanti arredi. Lui, Mino, il grande padre che non sorride, apre una a una le lettere, legge, impila. Ha tutto il tempo che vuole: risponderà. I suoi strettissimi amici confidano che sta scrivendo la sua autobiografia. Possibile? Precisano: «Una autobiografia in forma di romanzo». Sarà. Ma intanto legge. Ha appena finito «Destra e sinistra» di Norberto Bobbio e là riedizione dell'«Intervista sulla destra» a Prezzolini che gli ha regalato Tonino Zana, altro suo fedelissimo. E sta rileggendo «La figlia di Jo¬ rio» di D'Annunzio che ieri ha citato: «C'è quella frase bellissima: "la fiamma è bella" che di questi tempi io non amo pronunciare perché mi guardo intorno e vedo che l'Italia è piena di incendi». Martinazzoli da solo ci sta bene. E gli si addice quest'aria penitente. Sa di essere arrivato troppo tardi alla decisione suprema: rinnovare per davvero il partito, ritrovandosi a fare i con¬ ti con una de già irrimediabilmente travolta dagli scandali e dagli affari, spazzata via dalla Lega padrona e pronta a lasciarsi avvelenare dalla celluloide di Re Silvio. Ha scelto di pagarne le conseguenze, ma ugualmente, oggi, tesse «l'elogio della lentezza». Nei suoi «Pretesti per una requisitoria manzoniana», ha scritto una fulminea anticipazione di quello che sarebbe accaduto al suo partito: «I grandi guasti stanno al termine di infinite sciatterie, grettezze, diserzioni, avidità e connivenze». Eppure basta vederlo di nuovo in mezzo ai militanti, in questo paesone dal nome gramo - Travagliato - per accorgersi che questa sua solitudine, questi suoi occhi tristi e mobilissimi, questo suo secco tormento, la sua inavvicinabile lontananza, non intaccano il suo carisma, semmai lo alimentano. Ha lasciato scorrere gli applausi, ma poi li ha chiamati quando, alzando la voce ha detto: «Io tremo davanti a questi cosiddetti costituzionalisti, il professor Miglio, e quel signore, Rocchetta, che ha la faccia dell'irredento... Io tremo e dico: a questi signori noi ci opporremo». E poi: «Certo Fantifascismo si è perduto nella retorica, lo abbiamo lasciato divorare dagli anni. Ma questa volta, il 25 aprile, noi dovremo rivendicarlo con tutta la forza, perché è un pilastro della nostra democrazia». E quasi grida: «Saremo in piazza!». Ma è solo un attimo. Mentre la sala ritma gli applausi e il moderatore dice: «Io adesso passerei ai ringraziamenti», lui si alza con un sorriso: «Mà no - dice - non è il caso. Andiamo via che è tardi». E sparisce. Pino Corrias «Io non ho smesso di fare politica» In basso Mino Martinazzoli ex segretario del ppi A sinistra, Rosa Russo Jervolino

Luoghi citati: Alta Val Trompia, Brescia, Italia