La Regione chiede oltre un miliardo

La Regione chiede oltre un miliardo La Regione chiede oltre un miliardo l'arresto per truffa, avvenuto nel '92, di Roberto Falcherò. Alcuni clienti hanno poi fatto il nome dei brokers che li avevano indirizzati al Falcherò (ed alle sue due socie, Bazzini e Silva), ed altri hanno raccontato delle pesanti minacce subite nel corso di spegiudicati episodi di recupero credito. In particolare Antonio Terlizzi avrebbe puntato pistole alle gola dei debitori per essere «più convicente». Gli inquirenti hanno ricostruito l'attività dell'organizzazione, partendo dal fallimento della finanziaria Fin Nova, che aveva sede in piazza Carlina, della quale Falcherò era titolare. Quel crack costò alcuni miliardi a pie- coli investitori che avevano affidato alla finanziaria i loro risparmi, in minima parte recuperati. I clienti della Fin Nova vennero dirottati dal Falcherò verso la Bazzini e la Silva, casalinghe con l'hobby della finanza e titolari di tre società di prestiti (BF, Nuova BF e Fineuropa, con sede in corso Vinzaglio 12). Solo in un secondo tempo sono entrati in scena i brokers, molto attivi nel reperimento di denaro liquido da impiegare nei prestiti: lo ottenevano facilmente, promettendo a piccoli finanziatori tassi doppi o tripli rispetto a quelli bancari. Erano tutti incensurati, come Terlizzi e Maiello entrati nella «società» appena un anno fa. I carabinieri sospettano un giro ancora più vasto e contano sulle testimonianze di altre vittime dei presunti usurai (molte delle quali sono state identificate grazie ad assegni postdatati, cambiali e titoli bancari e di Stato, offerti a garanzia dei prestiti e recuperati in alcune cassette di sicurezza). Sotto sequestro è stato posta anche la Sas Servizi Bancari Aziendali, una società di consulenza di via Milazzo, che era imo dei terminali per la concessione dei prestiti. Lì ci sono ancora da esaminare centinaia di documenti. Dopo le richieste di condanna del pm Corsi, al processo per le tangenti promesse per l'ospedale di Asti la parola è passata agli avvocati di parte civile. Andrea Ferrari e il collega Luca Gastini hanno usato toni duri con gli imputati: «Hanno arrecato alla collettività un danno enorme. Per i loro intrallazzi è rimasto sulla carta il più grande appalto nella sanità (230 miliardi) degli ultimi dieci anni. Chiediamo che vengano condannati a pagare una provvisionale di un miliardo e mezzo di lire, immediatamente esecutiva. Il resto del danno sarà valutato in sede civile». Gli avvocati Ferrari e Gastini rappresentano nel processo la Regione Piemonte, l'unica parte civile. Non si è costituita in giudizio, e la cosa ha destato parecchio stupore, l'Usi di Asti. I due legali si sono divisi il fronte d'attacco. Ferrari ha puntato sulla prima fase, sul patto di ferro firmato tra la cordata dell'imprenditore Marco Borini e i cassieri romani di psi e de, Balzamo e Citaristi. Gastini si è soffermato sulla seconda fase, quando su quel piano corruttivo già perfezionato, intervenne Vito Bonsignore che cercò di inserire nell'accordo anche la Grassetto di Salvatore Ligresti. L'accordo prevedeva una tangente di 6 miliardi, da dividere in parti uguali tra i due partiti. Ferrari ha detto: «Il piano venne cementato dai contatti romani dell'imprenditore Borini con Citaristi e Balzamo. Come "terminali" di quel patto, per evitare problemi a livello locale, c'erano l'assessore psi Maccari e Bianca Dessimone, dell'Usi di Asti. Tutto avvenne sotto l'ombrello protettivo di Giovanni Goria. Maccari commentò che la de di Asti aveva imposto una "pax democristiana"». La «pax» venne sconvolta dall'intervento di Vito Bonsignore. Ha detto ieri l'avvocato Gastini: «L'arrivo di Bonsignore con il suo protetto Ligresti provocò, almeno all'inizio, un mezzo terremoto tanto che da Roma il cassiere del psi Balzamo commentò: . "Stanno facendo una Cernobil in Piemonte'. Il più preoccupato è l'imprenditore Borini che vede sfumare l'affare. Che si muove in fretta, sollecita l'appoggio di Goria, corre a chiedere sostegno a Roma, ottiene Angelo Conti Si è iniziato ieri davanti al pretore Bruno Giordano il processo per la morte di Leonardino Terlingo, 57 anni, operaio di una ditta specializzata in coibentazioni, ucciso dal cancro provocato dall'amianto respirato sul posto di lavoro. Questa, almeno, è l'ipotesi d'accusa illustrata ieri in apertura d'udienza dal pubblico ministero Guariniello: «Di quella morte sono responsabili gli imputati che non hanno adottato tutte le misure necessarie per ridurre i rischi sul lavoro». Gli imputati sono Santino Beraud, titolare della ditta Beraud (avvocato Rossomando) e Marte Ercole, amministratore della collegata Siceac. Quello iniziato ieri è il primo di una lunga serie di processi portati avanti dal dottor Guariniello e che riguardano centinaia di casi di morti da cancro per motivi professionali. Leonardino Terlingo avrebbe contratto il male negli anni Sessanta mentre lavorava nell'edificio di via Cernaia dove c'è la sede Rai. Il processo continua il 7 giugno. dal psi un no secco all'ingresso di Ligresti nella vicenda. Dopo la tempesta torna il sereno. L'ipotesi Ligresti cade, Maccari tranquillizza Borini: "Non preoccuparti, l'ospedale lo prenderà la tua cordata". Ma l'imprenditore si fida fino ad un certo punto delle assicurazioni dei politici e per evitare sorprese promette un miliardo anche a Bonsignore». Ha concluso l'avvocato Gastini: «Il ritardo nella costruzione dell'ospedale ha provocato un danno enorme. I primi 30 miliardi stanziati un anno fa sono svalutati, chiediamo che la perdita di valore sia pagata dagli imputati». Il processo riprende il 13 aprile con le arringhe.

Luoghi citati: Asti, Piemonte, Roma