GROVIGLI BORGHESI

GROVIGLI BORGHESI GROVIGLI BORGHESI «La casa del padre» di Giorgio Montefoschi Una giostra di immutabili relazioni familiari CI sono narratori, come Giorgio Montefoschi, che procedono con studiata lentezza nello svolgere lunghe vicende, scandite nel tempo, di famiglie borghesi, con intrecci d'amori, d'incontri, di attrazioni e di incomprensioni, di malattie e di morti, di un fluire un poco ripetitivo che vuole dare il senso della continuità delle situazioni e dei sentimenti, che ritornano più o meno uguali. La casa del padre, ora, porta tale piacere della ripetizione ciclica nel narrare una sorta di un poco manieristico virtuosismo, quasi una scommessa sulla capacità di mostrare sempre uguali e ritornanti lungo gli anni i casi di padri malati destinati a morire abbastanza rapidamente, di mogli immalinconite o irritate dal senso di fallimento della vita matrimoniale per i tradimenti ricorrenti dei mariti, di figli che intrecciano amori giovanili con ima certa indecisione dei sensi e dei sentimenti, fino ad arrivare a trovare la persona da amare veramente nella prospettiva di un matrimonio che ripete o si capisce che ripeterà le vicende di incomprensioni, tradimenti, infelicità, decadenza fisica. Per variare un poco il narrare, Montefoschi alterna la prima e la terza persona: ma è appena un brivido sulla superficie uniforme delle storie. Si incomincia con la malattia e la morte di Mario Bellelli, e con le relazioni di vicinato sempre più strette con la famiglia Boligher, venuta ad abitare nella stessa casa dei Bellelli, al piano superiore, da parte di Pietro Bellelli, che dapprima sembra innamorarsi di Livia Boligher, ma, dopo, si unisce con la cugina di Livia, Carla Boligher, venuta da Napoli a Roma con la famiglia quando il padre Boligher si ammala e, dopo una lunga separazione dalla moglie, ritorna in casa, pur non rinunciando alla libertà di misteriosi vagabondaggi cittadini, che sembrano alludere a un intreccio di tenaci legami amorosi. Poi anche il padre Boligher muore, Pietro Bellelli sposa Carla, la sorella di Pietro, Alessandra, sposa il fratello di Livia Boligher, Alberto; e ricomincia la storia, discretamente e malinconicamente raccontata, di incomprensioni e di contrasti matrimoniali fra i vari coniugi, nonché del rapporto fra Pietro e un'amante, che lo porta ad allontanarsi spesso di casa, senza avvertire, per una specie di cedimento alla fatalità dei sentimenti e alla debolezza della volontà, che nasconde appena una profonda insoddisfazione della vita, unita con il senso della precarietà, della brevità, come per la premonizione dell'approssimarsi della morte. L'ultima parte del romanzo ha come protagonista il giovane figlio di Pietro, che ripete il nome certi dei propri sentimenti, degli stessi desideri, fino a non confessare mai davvero quello che provano e che potrebbe, forse, dare un senso a quanto accade. Ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a situazioni che si ripetono. Con tutta la sua eleganza narrativa e con l'estrema finezza della rappresentazione della vita nella complessità dei rapporti fra le persone all'interno dei gruppi familiari, La casa del padre dà l'impressione di un procedimento speculare di narrazione, in forza del quale poche situazioni di fondo sembrano rinviarsi nel tempo l'una all'altra come da uno specchio che si riversi in altri specchi, con un senso di indefinita riproposta. Capisco bene che proprio questo senso di analogia e di simiglianza fra i casi delle varie vite sia uno degli scopi di Montefoschi. Ma l'assenza del tempo, della narrazione, finisce piuttosto ad appiattire le vicende che a dare loro l'idea di fatale e malinconica perdita e spreco della vita. Non c'è la profondità del tempo, nel libro: e allora le figure finiscono per non essere più distinguibiU le une dalle altre. Giorgio Bàrberi Squarotti Giorgio Montefoschi Intrecci d'amore, incomprensioni, morti: wi gioco dì specchi che riflette l'idea dì fatale perdita e spreco della vita di Mario Bellelli, durante un'estate di vacanza presso il mare di Sabaudia, dove incontra una ragazza, Francesca Silvera, intreccia con lei un breve rapporto amoroso, interrotto dalla partenza improvvisa di Francesca; e alla fine troviamo Mario felicemente innamorato della cugina di Francesca, Luisa Silvera, dopo che anche Pietro è morto. C'è, forse, in tutte queste morti, più che il senso della fatalità della decadenza della vita e l'angoscia dell'agguato crudele della sorte, qualcosa di meccanico, che finisce a stemperare un poco la capacità di Montefoschi di cogliere, in niinimi ma sensibili particolari, la malinconia che prende l'uomo non più giovane, ma ancora nel pieno dell'età adulta, come primo annuncio della malattia che sta per aggredirlo e contro la quale rinuncia subito a combattere, piuttosto cercando di raccogliere in fretta gli ultimi spiccioli d'affetto dalla moglie tradita per tanto tempo e dai figli. Soprattutto il rapporto che si instaura allora fra padre e figlio, con i parchi gesti d'affetto chiesti e ricevuti quasi in segreto, senza confessarsi reciprocamente l'ansia e il dolore, è colto da Montefoschi con grande finezza e con una misura mirabile. E ugualmente felice è il modo con cui il narratore sonda i segreti mai del tutto confessati e rivelati delle relazio- ni familiari, dando loro un alone di segreto d'anime che soltanto a tratti si manifestano in una lacrima, in un moto di insofferenza, in un rimpianto, in un eccesso di durezza o in un cedimento improvviso. Altrettanto sapiente è il racconto degli amori giovanili, soprattutto per l'abile variazione di toni e sfumature nel descrivere i personaggi femminili fra abbandono dei sensi e ritrosia, protesta e accettazione, ripulsa e abbraccio, sempre, però, con un fondo di enigmaticità, di mistero, di incomprensibilità oggettiva dei gesti, di fronte a cui i personaggi maschili non sanno mai bene come comportarsi, divenendo in¬

Luoghi citati: Napoli, Roma, Sabaudia