La camorra orfana del Padrino di Fulvio Milone

Napoli, ucciso da un cancro il «boss-imprenditore». Era agli arresti domiciliari Napoli, ucciso da un cancro il «boss-imprenditore». Era agli arresti domiciliari La camorra orfana del Padrino Nuvoletta, un impero di 2 mila miliardi MARANO (Napoli). «Non voglio morire in una cella, ma a casa mia», aveva detto ai suoi avvocati non più di due mesi fa. Pallido, magro, stremato da un cancro al fegato che lo consumava da anni, era diventato l'ombra di se stesso, nient'altro che l'innocuo fantasma di un re della camorra. Il suo desiderio è stato esaudito: «don» Lorenzo Nuvoletta, il boss dei boss della camorra, uno dei pochi criminali non siciliani ad avere accesso alla stanza dei bottoni di Cosa Nostra, è morto nel suo letto ieri all'alba, assistito dalla moglie e dai suoi nove figli. Aveva sossantaquattro anni, oltre dieci dei quali trascorsi da latitante. Catturato quattro anni fa, aveva ottenuto gli arresti domiciliari il sette marzo scorso, ed era tornato nella casa bunker di via Vallesana, un fortino superblindato alla periferia di Marano, un paese alle porte di Napoli: lo stesso in cui, come sostengono i carabinieri, si nascose per un certo perìodo Totò Riina, ex primula rossa della mafia, [f.mil.] SMARANO (Napoli) ONO più di duecento, davanti al fortino di via Vallesana. Duecento uomini e donne dall'espressione corrucciata, muti mentre fissano l'alto muro di cinta che nasconde agli occhi indiscreti la reggia di un Cesare del crimine, l'ultimo irriducibile della camorra. Poliziotti e carabinieri fanno barriera davanti al cancello, perquisendo e identificando chiunque insista per entrare. E faticano a calmare un giovane, poco più che un ragazzo, che impreca contro cameramen e fotografi. E' Giovanni Nuvoletta, 22 anni, ultimogenito di «don» Lorenzo. «Rispettate almeno la morte di mio padre», grida. Non capita a molti delinquenti di morire nel proprio letto. Di solito la fine arriva improvvisa, all'angolo di una strada, con un colpo di pistola o una raffica di mitra. «Don» Lorenzo invece è spirato tra le mura di casa, in silenzio come in silenzio è vissuto. Non passerà mai alla storia del crimine come uno di quei gangster da film di terz'ordine, amanti cru¬ LA saga infinita dei Gucci aggiunge un'altra puntata. Paolo, 62 anni, autorevole protagonista della dinastia, è stato arrestato a New York per non aver pagato gli alimenti alla moglie e alla figlia, come aveva ordinato un tribunale americano. Paolo Gucci è cugino dell'ultimo rampollo della famiglia, il quarantenne Maurizio, colui che in settembre ha venduto il suo 50% agli arabi del Bahrein, divenuti unici padroni di uno dei più prestigiosi marchi d'Italia. Paolo è impegnato da anni in una battaglia legale con la seconda moglie, Jennifer Puddefoot. Il giudice della Corte Suprema di New York, Phyllis Gangel- Jacob, gli aveva ordinato di pagare 480 mila dollari (810 milioni di lire) come alimenti arretrati. Ma Paolo sostiene di essere in bancarotta: tutti i suoi deli di bionde platinate che vanno per night ostentando mazzi di banconote. No, Nuvoletta era un uomo riservato e schivo che, come molti vecchi capi mafiosi, nutriva un amore quasi sacro per la famiglia; ma era anche e soprattutto un serio e solido industriale del crimine, a capo di una holding valutata intorno ai duemila miliardi. Del suo impero economico si comincia a parlare nel '75. In un rapporto dei carabinieri il padrino di Marano viene descritto a tinte fosche: «Opera nel campo della droga e delle armi, delle estorsioni e dei sequestri di persona. I Nuvoletta acquistano terreni per centinaia di miliardi, usufruendo di contributi dello Stato attraverso la Cassa per la formazione della piccola proprietà contadina. Forniscono enti civili e militari di prodotti ortofrutticoli e avicoli, ricevono i contributi della Cce per incentivare la produzione delle aziende agricole». Ma è poca cosa rispetto a quello che verrà scoperto in seguito. Solo alla fine degli Anni Ottanta un magistrato napoletano, Paolo Mancuso, riuscirà a Svolta nella vicenda le anni. Poi arrivarono gli altri pentiti, che spiegarono con dovizia di particolari come il boss che sembrava introvabile per polizia e carabinieri vivesse in realtà una vita tranquilla, nella sua tenuta alla periferia di Marano. Controllava indisturbato gli affari, guadagnando soldi a palate con gli appalti del dopoterremoto ottenuti grazie a influenti amicizie politiche. Si permetteva anche il lusso di fare da arbitro nelle dispute sanguinose fra i clan rivali del Napoletano. Pasquale Galasso, ex finanziere della camorra che ha deciso di collaborare con la giustizia, racconta di una riunione avvenuta nell'81 nella tenuta di Marano: «C'erano tutti i capi delle organizzazioni che si disputavano il controllo del crimine in Campania. In una stanza attigua alla sala dove era in corso il vertice c'erano i siciliani Salvatore Riina c Leoluca Bagarella. Quando la discussione si faceva troppo animata, Nuvoletta si appartava con loro per poi tornare con una nuova proposta di pace...». La latitanza del re camorrista finì dopo dieci anni, la mattina del 7 dicembre del '90. «Siete stati bravi, non avete sparato un colpo», disse Nuvoletta ad un ufficiale dei carabinieri che si trovò davanti ad un uomo già provato dalla malattia. Durante gli ultimi quattro anni della sua vita trascorsi in carcere, «don» Lorenzo non ha mai mostrato un solo segno di pentimento. Una dei suoi nove figli, Mariella, avvocato, si è battuta come un leone perché il padre morisse a casa. E ce l'ha fatta. Lorenzo Nuvoletta, uno degli ultimi irriducibili della camorra Un «imprenditore mafioso» non poteva non avere rapporti con Cosa Nostra. Il primo a parlare dei legami fra Nuvoletta, latitante dall'80, e i siciliani fu Tommaso Buscetta. Il mafioso pentito raccontò al giudice istruttore di Palermo Giovanni Falcone che l'investitura mafiosa di «don» Lorenzo risaliva alla metà degli Anni Settanta, grazie alla sponsorizzazione di Luciano Liggio. E Falcone, nell'84, spiccò un mandato di cattura contro il padrino di Marano, latitante già da quattro fare un po' di chiarezza sulle tante attività di «un mafioso imprenditore divenuto, in breve, impreditore mafioso», che si occupa non solo di agricoltura ma anche di edilizia, di fornitura di calcestruzzi, di commercio, di turismo. «Don» Lorenzo sa far fruttare perfino la sua passione per i cavalli: i carabinieri che sequestreranno nel '91 una sua scuderia troveranno, fra gli altri cavalli, un ex trionfatore degli ippodromi europei: il purosangue Ebano, utilizzato come stallone. Fulvio Milone gale che si trascina da anni. Il giudice: «Deve darle ottocento milioni»