Rassegnati al «sangue della pace» di Fiamma Nirenstein
Rassegnati al «sangue della pace» Rassegnati al «sangue della pace» Ma l'intero Paese grida: Arafat, perché non parli? delle mosse palestinesi: Arafat all'aeroporto del Cairo si ò rifiutato di rispondere a una domanda dei giornalisti israeliani sull'accaduto, ed anzi si è allontanato; ed è trapelata la notizia ufficiosa che Arafat stesso avrebbe mandato un messaggio non certo di condanna al portavoce di Hamas, Ibrahim Rusha. Fatti conturbanti, che certo non fanno pari col messaggio di condoglianze «pelose» espresse in serata con un messaggio collegiale dell'Olp, insieme con il rammarico per i fatti «incominciati con il massa¬ Shamir, ha detto Peres, c'erano gli stessi terribili attentati che Israele deve soffrire dopo l'accordo di Oslo, e chi siede al tavolo dei negoziati già di per sé mostra la sua volontà di pace e il suo distacco dai terroristi; e finché Gaza e Gerico non passano al controllo palestinese, dice ancora Peres, è difficile che Arafat possa essere in grado di supervederc a tutto ciò che accade nel mondo palestinese. E tuttavia questi argomenti sono stati indeboliti dalla cronaca che i giornalisti israeliani hanno dato cro di Hebron». A Gaza la mattina di mercoledì la polizia israeliana aveva lasciato, ripulito e preparato un edificio pubblico così da consegnarne le chiavi a mezzogiorno alla neonata polizia palestinese; ma nessuno si ò presentato a riceverle e la cerimonia prevista ò andata deserta. Debolezza o mancanza di coordinamento con Tunisi? Questa è la domanda che ormai gli israeliani tutti discutono. L'idea che Arafat possa non avere il controllo della situazione spaventa un po' tutti, ed il suo silenzio da una parte coiTobora la paura, dall'altra suscita astio e persino disprezzo. Ieri nel corso di Yom Ha Shoa, il giorno dell'Olocausto, la televisione ha trasmesso incessantemente memorie, documentari e il film di Lanzmann sullo sterminio degli ebrei. La sirena alle 10 ha bloccato tutta la popolazione in un silenzio immoto, carico di memoria. La sera prima al museo dell'olocausto, Yad Va Shem, il presidente Ezer Weitzman e il premier Rabin hanno detto parole di grande pacatezza, nonostante l'attentato della mattina: Israele è un bastione in difesa della memoria, contro l'antisemitismo, contro i rigurgiti di nazismo e di fascismo. Nessuno ha rivolto parole infuocate contro i nemici di oggi; nessuno, come talvolta accadeva in passato, li ha paragonati ai nemici di sempre degli ebrei, gli antisemiti storici. Israele combatte una dura guerra, tratta una difficile pace, ma il tema oggi è ben separato da quello del nazismo e dell'antisemitismo di un tempo. Fiamma Nirenstein
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