Pintacuda in retromarcia di Massimo Gramellini

Il padre spirituale della Rete cerca nuovi alleati: porta aperta alla sinistra de Il padre spirituale della Rete cerca nuovi alleati: porta aperta alla sinistra de Pintacuda in retromarcia «Non ho mai attaccato Orlando» ROMA. E' una storia piena di facce tristi e parole vecchie, tipo la formidabile «coscientizzazione della democrazia» sfoderata a tradimento nel bel mezzo del discorso dal protagonista principale, padre Pintacuda. E poi uno si chiede perché vince Berlusconi. Dunque, pare che non sia vero niente: Ennio Pintacuda o Leoluca Oliando, la mente e il braccio della Rete, non hanno mai litigato. Era solo una finta. E le unghiate del gesuita al suo scolaro prediletto, riportate ieri mattina dai giornali? Padre Sorge, che li conosce bene tutti e due, non ha il minimo dubbio: «Un bluff. Pintacuda ha sparato sul sindaco di Palermo dopo aver concordato con lui i modi e i tempi della fucilata». Un vecchio trucco. Ma perché ricorrervi? E chi è allora il vero bersaglio? Non lo sveliamo ancora per non rovinarvi il finale, ma forniamo già un primo indizio: cercate dentro e fuori la Rete, purché all'estrema sinistra. Il sospetto che Pintacuda e Orlando non abbiano mai litigato si rafforza con la scoperta che i due sono al telefono da più di mezz'ora. Ecco perché il numero del Padre è sempre occupato. Poi finalmente la sua voce - inesausta dispensatrice di sottigliezze in accento siculo - comincia a lavorare: «Figuriamoci se rompo con Orlando. Io mi limito ad individuare le traiettorie». Meraviglioso, allora ci potrebbe dire dopo questa sconfitta dove andrete a parare? «Scongelate le cariatidi de e psi, aspetto l'esito dello scontro Bindi-Fonnigoni. L'ultimo passaggio per arrivare, come ho previsto da anni, ai due blocchi contrapposti». Sì, padre, ma cosa c'entra tutto questo con le sue critiche ad Orlando? «Non ho mai criticato Orlando, semmai la sua giunta: si erano adagiati, hanno dato per acquisita la vittoria mentre io li avevo avvertiti che lo scontro sarebbe stato durissimo. Sono in carica da quattro mesi: un tempo troppo breve per poter fare qualcosa di concreto, ma già troppo lungo per le attese messianiche della gente che, insoddisfatta, si è subito indirizzata altrove, verso Berlusconi. La giunta ha puntato sui tempi lunghi, sull'ordinarietà, ma Palermo è un paradosso, vive di straordinarietà. Ha bisogno di grandi utopie che la chiamino continuamente a raccolta. Altrimenti, invece dell'ordinarietà, arriva la normalizzazione». La chiacchierata col Padre prosegue e si dipana lungo arditi sentieri sociologici e dotte autocitazioni che solo un banale volgarizzatore oserebbe riassumere così: 1. Pintacuda non in- LA TV E L'ITALIA MALATA nessuno lo mettesse a tacere. Non avrebbe potuto prendersela con i liberatori americani, accusandoli di essere dei violentatori di donne, né avrebbe potuto parlare di «eroi repubblichini», a proposito delle spie fasciste fucilate dalle truppe statunitensi dopo lo sbarco in Italia. Questa licenza assoluta di dire ò segno che qualcosa di importante sta già accadendo in Italia. Che è caduto un divieto, che è già saltato un tabù: che morta la prima repubblica, tutto diventa possibile, tutto diventa permesso, come nei romanzi sul crimini! di Dostoevski. 11 fascismo è un'opinione come un'altra: discutibile. La Resistenza pure: fu un'opinione, non più legittima dell'altra. Confesso che alcuni commenti alle immagini sono all'origine del disagio che ho provato: gli accenni alla guerra felicemente lontana - lontana «come le guerre puniche» -; ai morti che sono tutti eguali. E l'allusione all'amnesia storica vista come «benedizione divina» per i giovani italiani; e la speranza che la storia cali infine il sipario. E per concludere, quell'immagine degli italiani: per natura cosi buoni, sempre, nella loro commovente e sempiterna semplicità d'animo. Non riuscirò a dimenticare tre parole soprattutto, dette duranti; Combat film dopo tut- tendeva attaccare Orlando, ma la giunta e in certi casi nemmeno quella. Ad esempio, quando ha parlato di «visione veterocomunista dell'antimafia», non alludeva ai boy-scout della Rete ma al pidiessino Luciano Violante, «che è venuto a candidarsi a Palermo impugnando il vessillo di presidente dell'Antima¬ mo do uda rge Da sinistra, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e i gesuiti Ennio Pintacuda e Bartolomeo Sorge fia». 2. La vera novità politica è che Pintacuda ha messo gli occhi sulla ex sinistra democristiana. «E' ora che il centro si scongeli. Mi auguro che Rosy Bindi venga illuminata». Cioè, venga nel nuovo blocco progressista che il Padre ha in niente: il partito democratico di cui Orlando già narra le gesta nelle interviste e che va nutrito con nuova linfa cattolica e, perché no? federalista. Invitati d'onore il partito popolare, corrente Bindi-Mattarella, e le frange esorcizzabili del movimento di Bossi: «Non tutto ciò che è nella Lega è demoniaco». «Io rompere con Pintacuda? Macché, mi sta lanciando la vo¬ lata». Orlando, sincerissimo, è già oltre. Oltre la Rete, e quindi oltre la sconfitta e il processo alla sua persona che sarebbe stato il probabile copione dell'assemblea romana del movimento, convocata per domenica. Le parole di Pintacuda, invece, spostano il dibattito sul partito del futuro. I finti duellanti, più uniti che mai, hanno colpito ancora. Dice il sindaco: «Lui è il profeta, io sono il comandante della nave e devo condurla al limite estremo dell'orizzonte indicato dal profeta». Eccola, allora, la rotta. Un piccolo colpo di timone verso il centro per agganciare quelli che Orlando chiama «i cattolici progressisti», gettando a mare la sinistra più estrema e nella stiva quel pezzo demoproletario di Rete che a Palermo ha i nomi di Franco Piro, Alberto Mangano e Gaspare Nuccio. Massimo Gramellini

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