Da «Forza Etna» al governo di Roma di Paolo Guzzanti

Da «Forza Etna» al governo di Roma Da «Forza Etna» al governo di Roma La Liga bianca e nera teme il ritorno dei notabili che votava per l'ordine bianco, che è stata sedotta ma mai fino in fondo dal secessionismo romantico e che adesso non vuole altro che legge e ordine, come nel West dopo le guerre per bande. Non è solo Verona. Il discorso vale per Padova, Rovigo, Venezia. Per i piccoli centri che sono sempre più in crisi dopo la lunga stagione del benessere e che adesso vogliono uscire dalla depressione economica e trovare una sistemazione «aziendale» che faccia da supporto alla politica. E' un dato di fatto ben sorretto dai numeri: il nuovo mito della terra della Liga è sempre meno Bossi (che non è mai stato un leader amato dai Veneti che hanno sempre avuto il loro capo in Rocchetta l'eretico) e sempre più Berlusconi, anzi il berlusconismo come idea di partito-azienda. Ovunque si assiste a una potente crisi di riflusso verso un centro d'ordine, con una fuga dal leghismo dei vecchi slogan da battaglia. Un dato di fatto che per il cronista è significativo e imbarazzante: i militanti parlano, ti consentono di riempire il notes di pagine e pagine di notizie e valutazioni, ma alla fine ti vietano di fare i loro nomi. E spiegano con un sorriso amaro: «Oui ti buttano fuori por un nonnulla. Ti cacciano, ti sospendono e ti espellono. Ormai si è insediato un gruppo dirigente che fa da padrone e che schiaccia tutti. Stia tranquillo, appena sarò definitivamente fuori mi potrà citare, ma adesso ci metterebbe soltanto nei guai». E allora diamo uno sguardo a quello che il taccuino ha catturato. Intanto, il pieno di missini. Uno per tutti: Antonio Serena è senatore ed autore di uno dei più feroci libri contro la Resistenza che siano mai arrivati in libreria: «I giorni di Caino». Bossi fece il diavolo a quattro per non averlo, ma ha perso. Sono ex missini i vicesindaci, sia a Verona che a Isola della Scala e a Legnago. Viene dal msi il neosindaco della Bassa veronese Massimo Brugnettini, e sono ex missini tutti quelli che fuggirono dal partito che era stato guidato da Rauti, quando Il partito che è imbottito di «transfughi» ed ha perso cinque punti in percentuale ha paura di nuove emorragie verso Berlusconi Il veneto Franco Rocchetta, presidente della Lega Nord arrivò Fini. che se si vede. Ma il capolavoro dell'assalto alla Lega, o Liga, porta la firma della de. L'on. Mauro Bonato è stato responsbabile della gioventù leghista conservando la stessa carica che aveva nel partito doroteo. E' un ex de il senatore vicentino avvocato Ellero così come l'alto esponente de ed ex rettore dell'università di Padova, on. Merigliano. Naturalmente ciascuno di questi uomini politici ha la sua storia, la sua «motivazione», non si può dire che siano tutti opportunisti e infiltrati, ma il fatto resta: la classe dirigente del partito che Bossi fatica a tenere compatto e unito, almeno a queste latitudini è un forte ricettacolo e reticolo di politici sperimentati che hanno trasferito nella Lega sia se stessi, sia il loro cursus honorum. E non si scappa: salvo una parte non consistente di eletti dalla Lega con tessera radicale (qui sono stati eletti la Bonino, Calderisi e altri pannelliani), il resto viene o dalla de o dal msi. E si vede, altro Questo, parlando di dirigenza, di «quadri». Se poi andiamo a vedere come è fatto l'elettorato, allora la composizione del voto leghista è ancora più semplice da esaminare. La Lega è stata votata dai veri rivoluzionari separatisti (nel Veneto si parla di nazione veneta che ai bei tempi snobbava i lombardi con cui avrebbe potuto sì e no accettare di formare insieme una confederazione di Stati diversi e sovrani), che costituivano una minoranza motivata, brillante, rivoluzionaria. Ma una piccola minoranza 11 resto, l'ondata vera è arrivata quando la stessa de veneta ha capito che sul Carroccio si coltiv ava il futuro e ha mandato con sapiente anticipo i suoi uomini in avanscoperta. La base missina, o meglio ex missina, è formata da fuggiaschi che odiano Fini, ma odiano di più l'antifascismo roboante di Bossi: ne entrarono una bella imbarcata nel 1992. Ma trovarono già insediati gli uomini delle avanguardie dorotee. Un esempio: Ettore Peretti, che si è presentato alle elezioni sotto le insegne del ecd, era inviso ai leghisti puri che avevano giurato di non votarlo. Ma ha preso il 50% dei voti, perché i «puri» controllano soltanto un decimo di quella percentuale. La forza della vecchia democrazia cristiana è tutta traslocata e operativa. L'elettorato veneto, e la cosa risulta chiacchierando nei bar, con i portiere d'albergo, i tassisti, le donne che fanno la spesa, è leghista se si tratta di «cacciare i negri», perché dà prova di un preoccupante istinto che sarebbe difficile non definire razzista, ma non ce l'ha con i meridionali. Ma più che altro «non volemo casini e casinisti», cioè confusione, arruffapopoli, chiacchiere di barricata. Achille Ottaviani, di antiche origini radicali, già senatore leghista e probabile candidato alle Europee (è lui che inventò il «Passaporto per l'Europa» della «repubblica Federale del Nord», delle dimensioni di una patente), assicura: «Ormai nessuno pone più la questione dei meridionali. C'è preoccupazione per gli extracomunitari, ma più di tutto la gente ha voglia di vedere chiaro nel suo futuro». Daniele Tollin è più drastico: «Qui la gente è molto meno vicina alla Lega di una volta. Dentro al partito è insediato uno stile antidemocratico molto vicino allo stalinismo, ma che è equamente condiviso dai gruppi di potere dorotei e fascisti». Due leghisti non più giovanissimi sostengono che anche le floride logge massoniche hanno praticato la linea «entrista» e citano magistrati, industriali, uomini d'affari. Forse l'aspetto propriamente massonico non è significativo, non so dire, ma i militanti della antica e premiata Liga Veneta dicono di sentire il peso di un partito trasversale della piccola e media industria, che ha tutto l'interesse a trattare fianco a fianco con Berlusconi, che qui ha piazzato, fra i suoi senatori Massimo Zanetti, l'uomo del Caffè Segafredo, in ec¬ cellenti rapporti con Gianfranco Zoppas. Si ha cioè non l'impressione, ma la certezza, che l'antica Liga ha cambiato corpo più che pelle e che una nuova, durissima guerra interna per la nuova leadership sia già cominciata e che le prospettive siano di una nuova (ma consolidatissima) classe dirigente che ha già preso il potere reale e aspetta soltanto di prendere quello formale. (1. continua) Paolo Guzzanti