Ma a Pontida detterò le mie condizioni di Giovanni Cerruti

Il leader leghista rinvia a domenica «l'ultima parola» sul governo con Berlusconi premier Il leader leghista rinvia a domenica «l'ultima parola» sul governo con Berlusconi premier Ma a Pontida detterò le mie condizioni » 7/ Senatur vuole l'antitrust Federalismo s'incontra anche il diavolo», Gianfranco Miglio), nonostante le quotazioni del futuro governo abbiano ripreso a salire, da Bossi potrebbero arrivar sorprese. «Alternative però non ne esistono», dice Roberto Maroni, il leghista che si è sempre definito «filogovernativo», che tratta, media e rischia le sconfessioni bossiane: «La verità è che tra il Presidente Scalfaro e Berlusconi c'è un patto di ferro. Gli darà l'incarico, o lui o le elezioni anticipate». Attaccato al video delle agenzie di stampa, nel suo ufficio da Presidente dei deputati leghisti, Maroni cerca con VVERONA UOI vedere che la tanto clamorosa questione settentrionale è già passata in cavalleria? Vuoi vedere che la Lega sta cambiando pelle? Sono venuto in Veneto con questa idea-pilota che non è, non era, un pregiudizio, ma un tarlo. Sì, è vero: Bossi e.Fini hanno appena concluso l'accordo, la buriana è passata e ricomincia, salvo prevedibili imprevisti, qualcosa di simile alla politica. Ma come la prenderanno i leghisti della prima ora? Che cosa succede nel Veneto ex bianchissimo che più bianco non si poteva, poi diventato il leghismo della Liga Veneta, quello di «Forza Etna», quello delle partite di calcio infuocate Verona-Napoli? Prima impressione dal Veneto: tira un'ariaccia. Tira un'aria che se le parole hanno ancora un senso storico si dovrebbe definire stalinista. Dell'incontro fra Fini e Bossi, l'incontro storico dopo il famoso urlo «Mai con i fascisti! Mai!», qui si parla pochissimo. Non fa quasi affatto impressione. E il motivo è semplice: la Lega qui è da tempo strapiena di ex fascisti, transfughi missini. E di democristiani bianchi saltati alla svelta sul carroccio del vincitore, tutta gente di mano lunga ed esperta. Qui la Lega è calata dal 22 al 17% od è formata per un 6-7% dalla base pura e dura del secessionismo e del romanticismo, per una percentuale più o meno uguale di moderati che non vogliono più saperne di urla e strepiti pronti a passare, in caso di nuove elezioni, armi e bagagli a Forza Italia, e una frangia di protesta e opportunismo, formata da carrieristi da sbarco. E poi: se l'ondata giudiziaria di Mani Pulite in Veneto ha colpito duro, è anche vero che a cogliere i frutti della decapitazione della vecchia classe dirigente de inquisita non è stata la Lega Nord o la Liga Veneta, ma l'Opus Dei che ormai controlla tutti i centri di potere reale: dalla presidenza della Società editrice dell'arena alla Banca Popolare, alla Cassa di Risparmio, all'Aeroporto, alle municipalizzate. Ad ogni arresto ha fatto seguito un ingresso della potente «prelatura» con i suoi uomini, mentre, secondo il racconto di un gruppo di leghisti che incontro in via Giardino Giusti diretti alla riunione del Direttivo (sarà una notte dei lunghi coltelli), il partito si occupava distrattamente di lavavetri di colore e nient'altro. Daniele Tollin, un giovane dirigente appena espulso, mi racconta della spartizione continua e del rapporto di odio e amore (più odio che amore) fra Bonato e Comencini, cioè fra le due anime vere: quella ex de del vecchio doroteismo e quella fuggita dalle file missine. «La presa di potere - racconta fu attuata con un uso velocissimo dei computer che classificavano i militanti: in un attimo passarono dai 200 originari a più di 600, tutti fedeli alla nuova nomenklatura. Sbalorditivo». E chi esce benissimo in questa crisi leghista, è Forza Italia che si è insediata con calma, ha fatto una campagna di penetrazione non gridata, non ha accettato liti né proj vocazioni e ha conquistato l'animo 1 della borghesia veneta, la stessa * * * to: «Non siamo più soli, c'è anche Fini». Un incontro poi benedetto da Berlusconi, il primo tra Fini e Bossi («non ho mai voluto sedermi allo stesso tavolo con quel fascista»). Ma in quell'ora di disgelo, Lega e Alleanza Nazionale si sarebbero raccontate le perplessità sulla figura di un Berlusconi Presidente del Consiglio e i timori per nuove elezioni anticipate». Alla fine, Gipo Farassino è uscito con una dichiarazione olimpica, come se Bossi non avesse mai detto «Mai, mai, mai con i fascisti!»: «Alleanza Nazionale non è fascista e Fini nemmeno, è un uomo di destra». «Abbiamo fatto un passo avanti», poi telefona Maroni a Berlusconi. Oh, sì, certo, risponde il Cavaliere: però Bossi che ne dice? Bella domanda, peccato che Maroni non sappia o non possa rispondere: «A Pontida, a Pontida!». Qui Bossi dovrà render conto alla sua base, ai nuovi 180 tra deputati e senatori, ai filoberlusconiani e ai duri e puri. Arriverà con¬ affanno quella dichiarazione di Gianfranco Fini: «Eccola qua la frase che ha sbloccato il tutto, Fini dice che il Federalismo è accettabile solo in un regime presidenziale. Adesso viene giù Miglio, ci rivediamo, il presidenzialismo glielo diamo, Fini dovrà dire sì al Federalismo, così saremo noi e lui e Berlusconi dovrà decidersi». Ma non esulta, Maroni. Sarà la stanchezza, sarà l'incertezza, sarà che i leghisti si sentono in mezzo al guado, sarà che Umberto Bossi ha deciso di star zitto e tornare a casa in giornata. E però, quell'incontro con Fini, secondo Maroni è servi- vinto, come Maroni e come Fini, che alla fine Scalfaro darà l'incarico proprio a Berlusconi, il Mastodonte. E Berlusconi è già pronto con la sua lista, Marco Pannella al ministero degli Esteri. Se il governo non passa elezioni, ma ci guadagnerebbero solo Berlusconi e le Sinistre. Il rischio, come confida Bossi ai suoi, è che la Lega si ritro¬ ® MARZO • • * * * * Il leader della Lega Nord Umberto Bossi Sotto, una manifestazione leghista continua a ripetere Maroni. Che, federalismo in testa, manda messaggi (anche telefonici) a Berlusconi: «Se accetti il federalismo il premier potrebbe anche non essere un federalista convinto, basta che si impegni a realizzarlo». Messaggi, umori, Bossi che da Pontida detterà le sue condizioni. Ma se davvero vuole stoppare il Cavaliere deve per forza trovare un altro candidato: finora, a partire da Francesco Cossiga, li ha bruciati tutti e non ha lanciato nessun nome: «Se le cose andranno bene preparatevi a molto silenzio - prevede Gianfranco Miglio - a nessun pettegolezzo e al blocco dell'informazione. Siamo in una fase di trattativa molto impegnativa e difficile. Però ce la possiamo faro...». A meno che, a Pontida, Bossi decida di presentarsi con lo spadone che si tiene a casa, omaggio del console di Giappone. E' da Samurai, ma potrebbe fare Karakiri. vi dall'anno del Samurai all'anno del Karakiri: andare al governo o sbaraccare tutto? A Bossi restano due carte, le duo pregiudiziali sul federalismo e lo stop a Berlusconi premier. Il governo con Alleanza Nazionale, dopo l'incontro di ieri, potrebbe essere un ostacolo secondario. «Se questo è il prezzo da pagare per il federalismo siamo pronti a pagarlo», Giovanni Cerruti