Figlio mio la tua morte è soltanto un teorema di Osvaldo Guerrieri

Sfida la bionda, è timida, legge e va a cavallo Fra i suoi sogni, condurre un gioco in tivù «La vita che ti diedi» di Pirandello a Torino Figlio mio, la tua morte è soltanto un teorema Spettacolo denso diretto da Squarzina con una bravissima Marina Malfatti TORINO. «La vita che ti diedi» di Luigi Pirandello si porta dietro un equivoco: e cioè che sia un dramma della follia. I deliranti sillogismi di Anna Luna, che rifiuta di credere alla morte del figlio e anzi si ostina a sentirselo vivo dentro di sé, vengono presi spesso per il frutto di una mente sconvolta dal dolore. Anche qualcuno del pubblico, l'altra sera al Colosseo, dove l'opera si rappresenta fino a domenica, non si sottraeva a questo facile, ma deviante abbaglio. Eppure, sul palcoscenico, facevano di tutto per indurlo a capire che la chiave d'accesso a «La vita che ti diedi» è un'altra, che la sua poesia s'intreccia con un insolito e implacabile rovello «filosofico» sviluppato dalla prima battuta all'ultima. Anna Luna non è una visionaria. Quando dice che suo figlio è ancora vivo, segue il complesso moto di una macchina psicologica in base a cui non può morire ciò che continua a vivere dentro di noi: la nostra vita dà la vita agli altri. Infatti per lei è morto l'estraneo che ritornò dopo sette anni di lontananza e dopo essersi unito a una donna già sposata; ma resta vivo il figlio di prima e lo sarà finché sarà viva lei. «Basta che la memoria sopravviva e il sogno è vita». E' la stessa illusione che Anna cerca di trasferire nel cuore di Lucia, l'amante del figlio e incinta di lui. Non le rivela che il giovane è morto, le dice soltanto che è assente; tuttavia potrà continuare a sentirlo accanto a sé attraverso la vita che le cresce in grembo. Ma poiché ogni sogno è destinato a svanire, ecco sgretolarsi anche l'universo illusorio di Anna: ha saputo che il figlio era già malato prima del suo ritorno a casa, era già cam¬ biato allora. La rivelazione è fatale, distrugge il perfetto teorema interiore e Anna deve ammettere: «Ora sì che lo vedo morire». Sulle possibilità creatrici del pensiero e del sogno Luigi Squarzina ha costruito uno spettacolo serratissimo, una tragedia in grigio che sviluppa la propria eccezionalità in un contesto apparentemente normale. E' normale il luogo dell'azione, la casa di Anna, costruita da Alberto Verso con minuzioso realismo. Ma è straordinario ciò che dentro la casa avviene, compresa una scena fantasmatica in cui, guidati dalle didascalie lette ad alta voce, vediamo muoversi una sedia e una tenda. Squarzina magari ce la poteva risparmiare e, soprattutto, poteva evitarla a uno spettacolo che non cerca questo tipo di mistero. A parte ciò, il resto fila via, spedito e angoscioso, tutto stretto intorno alla presenzacardine di Marina Malfatti che fa di Anna una creatura lucida, posseduta completamente dalla propria furia immaginativa. Una bellissima interpretazione, priva di compiacimenti decorativi, secca, che discorda, forse necessariamente, con l'esteriorità surriscaldata di altri personaggi. Pensiamo per esempio alla Fiorina di Maria Teresa Bax, alla nutrice di Maria Novella Mosci. Brava Caterina Vertova nel ruolo di Lucia e bella interpretazione «all'antica» di Edmondo Tieghi, il parroco. Completano il cast Aurora Trampus, Pino Bella e i giovani Christian Ferro e Selvaggia Quattrini. Pubblico molto attento e grandi applausi finali. Osvaldo Guerrieri

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