I sette dormienti davanti ai libri pirata l'andazzo anti-handicap

Donna incinta lettere AL GIORNALE I sette dormienti davanti ai libri pirata; l'andazzo anti-handicap La legge è più uguale per i ciabattini Il fenomeno delle edizioni corsare in voga oggi, illustrato da Pier Luigi Vercesi nell'articolo «Arrivano i pirati, best seller senza scampo» [La Stampa, 5 aprile), mi ha ricordato curiosamente una protesta indignata che, già nel 1909, l'editore Nicola Zanichelli aveva elevato per casi simili che si verificavano allora in Italia. Il famoso editore bolognese scrisse un «Prologo» al libro «Nova polemica» di Lorenzo Stecchetti. Il prologo non aveva nulla a che vedere con il contenuto del volume del bizzoso autore anticlericale romagnolo. Voleva essere soltanto un'occasione per denunciare i «ladri» di edizioni, che già allora erano fiorenti in Italia e per far sapere che, nonostante le tante richieste all'autorità giudiziaria, di giustizia non ne aveva ottenuto affatto. «Io mi sono ingegnato - scriveva Zanichelli - di far sequestrare le contraffazioni dei libri editi da me, ho insistilo, ho reclamato, ho scritto, ho telegrafato, ho insomma fatto eli tutto per svegliare i sette dormienti e far intendere che un furto ò un reato, anche quando il derubato è un editore...». Il risultato? Eccolo, afferma Zanichelli: «Mi tocca stampar questo libro a buon mercato per far concorrenza ai ladri». E racconta l'effetto di una sua denuncia: «Io denunciai un libraio che vendeva pubblicamente contraffazioni di libri miei: la polizia accorse atm fustibus et lanternis, frugò, verbalizzò e sequestrò... Immaginate?... Sequestrò le edizioni mie e lasciò le contraffatte. Badate, non è una satira; ò una verità sacrosanta e m'è accaduta due volte». «In questo stato di cose - lamenta l'editore - c'è sugo a domandare che la proprietà letteraria, frutto di un lavoro individuale che non è negato nemmeno dai socialisti, sia proclamata proprietà come ogni altra ed allo stesso modo tutelata? C'è sugo a domandare che il furto fatto ad un editore sia reato come quello fatto ad un vignaiuolo o a un ciabattino?». Dopo un altro bel po' di amare considerazioni, Nicola Zanichelli conclude, rivolto al suo lettore: «Noi siamo i felici che vediamo scritto nelle aule della giustizia a lettere cubitali: La legge è uguale per tutti. Massima santa; ma ci crede lei? Io... Così così». Domenico Del Rio Le carrozzine non sono strumenti di tortura Vorrei attirare l'attenzione su un andazzo di recente invalso nella diffusione pubblicitaria corrente, già tanto compromessa nei decenni per una sistematica tendenza a deviare e degenerare il sano giudizio e l'equilibrio psichico dei fruitori dei mass-media: quello cioè di mostrare la malattia e qualsiasi genere di infermità o di «diversità» come uno stato degradante e indegno della natura umana. Qualche mese fa la pubblicità a favore della maratona televisiva Tele Thon per la promozione della ricerca sulla distrofia muscolare indicava la carrozzina per invalidi come nient'altro che uno strumento di tortura e di morte; ora ci si para dinanzi dalle pagine di un giornale la foto di un malato terminale desolato e distrutto dalla sofferenza. E' la volta dell'associazione Vidas per il soccorso agli inguaribili di cancro. Da notare che queste immagini sono introdotte da titoli («Aboliamo questa sedia elettrica», «Se questo è un uomo») che io giudico deplorevoli a prescindere dai commenti e dalle intenzioni a tali figure e a tali parole sottesi. Gaetano Munoz, Bologna Sud, il New Deal comincia dalle ferrovie C'è un atavico problema riguardante le Ferrovie dello Stato nel Sud della Penisola, una macchia vergognosa che bolla inappellabilmente un'intera classe politica e che ci squalifica ed emargina dinanzi alle altre nazioni europee. E' da anni che a getto continuo vengono sfornati piani ferroviari, piano Schimberni, piano Necci ed ora è di moda parlare dell'alta velo- cita. «Sui binari 16.000 miliardi freschi», titolava la Stampa Y8 marzo e aggiungeva che le Ferrovie dello Stato Spa si ricapitalizzano, che il progetto alta velocità fa passi avanti, che l'apertura dei cantieri sulla nuova linea veloce Roma-Napoli sembra essere ormai imminente, che la Conferenza dei servizi ha approvato la nuova tratta veloce To¬ rino-Milano che permetterà di compiere in 45 minuti la distanza che ora viene coperta in 139 minuti. Interi percorsi vengono rifatti ed è pressoché interamente attuato il piano delle grandi autostrade e super strade che permettono di viaggiare in macchina dal Nord Europa alla punta dello stivale. Ma, sui binari, mentre tutto si muove da Napoli in su al ritmo e all'insegna dell'alta velocità, vi è un pezzo dell'Italia ferroviaria dimenticato dai politici (fra cui un noto ministro pugliese dei Trasporti) e rimasto incredibilmente fermo agli Anni 30 e 40. Mi riferisco in particolare alle tratte Bari-Lecce, Foggia-Benevento-Caserta (per Roma e Napoli) e a quella Foggia-Pescara- Ancona, in gran parte ancora a binario unico. Tutte linee essenziali per i collegamenti fra il Sud, la capitale, il Nord Italia e il Centro Europa, tradizionalmente molto popolari per il flusso ininterrotto ed imponente di viaggiatori di ogni ceto sociale, in gran parte lavoratori emigrati. Binario unico significa lunghe soste ai semafori dei convogli normali, per dare la precedenza ai treni più veloci e non alla portata delle tasche dei comuni viaggiatori, agli intercity, ai Pendolini, mentre i tempi di percorrenza si allungano di oltre il 50% rispetto a questi. E a proposito del Pendolino, un treno stupendo, mi ha fatto davvero pena vederlo correre quasi impacciato con la sua sagoma avveniristica sull'unico binario, fra le montagne di quell'Irpinia dove fiumi di miliardi corsero su autostrade inoperose, vere cattedrali nel deserto. Forse sarebbe bastato un piccolo rivolo del grande fiume tangentizio per ammodernare le ferrovie del Sud. Ricordo che qualche tempo fa, dinanzi all'ennesimo piano ferroviario che ignorava questo annoso problema, nel silenzio della classe politica, insorse la protesta coraggiosa e sensibile del vescovo di Lecce. Non ci resta che sperare che sia un ministro piemontese a risolvere questo problema la cui soluzione potrebbe diventare l'occasione di un vero e proprio New Deal per il Meridione e dei conseguenti benefici per l'occupazione. Marzio Perrini Fasano di Brindisi Condannati a non partecipare Ci sembra utile intervenire perché, in virtù della nostra posizione di cittadini italiani residenti all'estero, siamo condannati a una involontaria non-partecipazione all'attuale situazione italiana ma anche meglio preparati a esaminare con occhio obiettivo di questa situazione e a decifrare all'interno di essa pericoli di sviluppi futuri deleteri alla libertà di pensiero. Un requisito fondamentale di ogni moderno sistema democratico è il non-monopolio dei mezzi di comunicazione. In Italia esiste di fatto una significativa concentrazione di mezzi di comunicazione nelle mani di un singolo, in parte dovuta ad ambiguità e carenze legislative in materia di normative antitrust. Se a tale potere nel campo della comunicazione si aggiunge un'importante fetta del potere legislativo ed esecutivo, si crea una situazione potenzialmente pericolosa. Un conflitto di interessi per esempio, in quanto il proprietario di un impero economico potrebbe essere tentato di anteporre i propri interessi privati agli interessi della collettività. In particolare, le prospettive per una legislazione antitrust nel campo delle comunicazioni possono essere compromesse, con il rischio di imboccare una spirale irreversibile di concentrazione del controllo degli strumenti di comunicazione da una parte, e degli strumenti legislativi dall'altra. Queste considerazioni ci sembrano particolarmente serie poiché globalmente i mezzi di informazione giocano, oggi, un ruolo fondamentale nella vita politica di ogni Paese sviluppato. Di conseguenza il pluralismo del sistema politico e quello nel campo dell'informazione sono strettamente correlati, ed assieme costituiscono una condizione necessaria per il funzionamento di un moderno sistema democratico se organizzati in modo razionale e non di parte. Ci auguriamo altresì che la democrazia italiana si avvìi verso una seria dialettica tra le forze politiche in campo basata su differenze programmatiche piuttosto che su paure e slogar, ideologici. Stefano Albertini Ph. D. candidate Dip. di Francese e Italiano Stanford University, Usa Seguono 44 firme di docenti, ricercatori e studenti italiani di università americane spagnole e austriache