«Abbiamo vendicato Hebron» 8 morti

Oltre quaranta i feriti nell'attentato suicida ad Afula, il giorno del ricordo dell'Olocausto Oltre quaranta i feriti nell'attentato suicida ad Afula, il giorno del ricordo dell'Olocausto «Abbiamo vendicato Hebron», 8 morti Kamikaze in autobomba contro un bus, Hamas: siamo noi AFULA DAL NOSTRO INVIATO L'aria sa ancora di morte, si respira il puzzo aspro dello scoppio e anche delle carni bruciate. Qui, prima, era una bella giornata di sole forte, ieri, il cielo felice della primavera che deve portare finalmente la pace tra due popoli che si odiano; poi però è arrivato un Goldstein palestinese, e la primavera è diventata un nuovo giorno di guerra. I morti sono 8, e 40 i feriti; ì'autobomba è un ammasso di lamiere nere, contorte e sbrindellate, tutt'intorno c'è solo sangue, dolore, e distruzioni. Ora la vendetta per la strage di Hebron è stata consumata, e il rituale feroce ha segnato i passi obbligati della sua liturgia; il Signore degli ebrei e degli arabi voglia che sia l'ultimo atto di un tempo che si chiude per sempre. Ma, purtroppo, in Medio Oriente nemmeno il Signore può essere certo di fermare la forza dell'odio. L'autobomba ò arrivata silenziosamente, senza le sgommate dovute dei telefilm, perché, nella piccola realtà d'ogni giorno, la vita recupera sempre una sua drammatica diversità; è arrivata con i suoi 175 chili di tritolo rinforzato con bombole di gas e chiodi e si è parcheggiata rapida davanti all'autobus 308, che stava caricando la lunga fila di passeggeri in attesa. Nessuno le ha badato molto, nessuno è stato poi a controllare se avesse la targa blu dei Territori Occupati o quella gialla degli isareliani: mezzogiorno era passato da poco, e tutti avevano solo fretta di arrivare a casa. L'auto si è bloccata, c'è stato forse appena il tempo di darle un'occhiata, poi il giorno è esploso in mille pezzi. Quando il lungo silenzio della morte è finito, allora sono cominciate le urla, il dolore; la disperazione. L'autobus aveva la parte anteriore completamente maciullata, e corpi e sangue si mescolavano sulla strada, bambini bruciavano come torce. Il panico è durato appena qualche momento, perché qui la gente, purtroppo, alla morte quotidiana ci è ormai abituata; poi sono cominciati subito i soccorsi, le auto di passaggio hanno cominciato a caricare i feriti, sono arrivati da Haifa tre elicotteri. E ci si rendeva conto presto che il folle kamikaze aveva agito con terribile efficacia. Appena mezz'ora era passata, e già Hamas, l'organizzazione estremista del nazionalismo palestinese, telefonava alla Radio militare per assumersi la paternità dell'at¬ tentato. «Abbiamo vendicato Hebron, il martire Raed Zhakarma è tornato al Signore immolando la propria vita per la guerra santa del popolo palestinese». Giù, nel Libano, un'emittente clandestina, Radio Al Quds (Gerusalemme), esaltando la Città Santa e la guerra senza perdono della Jihad Islamica si dava anch'essa la paternità dell'autobomba e «il dovere di bloccare la svendita dei diritti del popolo palestinese». S'iniziava la retorica dell'odio, tutto secondo copione. Capire se questa scia lunga di sangue, e questa retorica obbligata, riusciranno comunque a fermare il processo di pace, è una scommessa non facile, in una parte del mondo dove generazioni intere, e famiglie, e tribù, sono state educate alla scuola dell'odio come forma esemplare della identità. Le culture d'Israele e della Palestina (quando questa avrà una sua forma istituzionale di sovranità) si riconoscono ancora troppo fortemente nella condanna del nemico, piuttosto che nella certezza della propria ragione, e il cammino della pace sarà inevitabilmente molto lungo. Come Goldstein era andato nella moschea d'Israele a fare la sua strage per bloccare la strada del negoziato, così ora il giovane Raed, un povero ragazzo di 19 anni, che secondo il padre l'anno scorso era stato arrestato e torturato per 75 giorni, è venuto a ricostituire l'equilibrio della carneficina fin dentro il cuore d'Israele: i passi sono obbligati, cinicamente si potrebbe perfino dire che tutto era risaputo e scontato, e che c'è solo da sperare che gli altri morti che, inutilmente, ancora verranno non siano molti. Afula è una piccola città bianca e verde a una decina di chilometri da Nazareth, ma è anche un centro importante della Galilea perché dalla sua piazza centrale partono lunghe sfilze di autobus per ogni parte del Paese. La vecchia frontiera della Cisgiordania sta a poco più di 6 chilometri, lungo la strada dove si finisce a Jenin; e da Afula ai Territori Occupati in macchina ci si arriva in una decina di minuti, forse meno. Tutto il tempo, insomma, perché chi ha dato una mano a Raed potesse allontanarsi indisturbato e perdersi per sempre nelle stradine infinite dei villaggi arabi. Mentre ancora nel cielo passavano e ripassavano gli elicotteri con il loro carico di morti, già decine di jeep si erano lanciate verso la linea verde della West Bank a presidiare i paesotti e le piccole comunità contro ogni rischio di vendetta da parte degli estremisti israeliani. Nel pomeriggio, le strade di Afula sono state affollate di piccoli cortei esasperati che scandivano slogan contro il governo e contro il negoziato con l'Olp. «Ra- bin vattene a Gaza» era il più gentile, e poi: «Viva Goldstein». Ma la rabbia si è estesa ormai all'intero territorio d'Isrele. Uri Dromi, portavoce del governo, è stato di poche parole: «Questi fatti, se mai, ci debbono convincere che la sola via d'uscita sta nell'accelerazione del negoziato di pace». E l'Olp, da Tunisi, esprimeva «cordoglio per le vittime». Non c'è nemmeno bisogno di dire che qui ora c'è molta preoccupazione, e molto nervosismo. Un sondaggio del Centro Studi Strategici, pubblicato appena ieri, diceva che il 33% degli israeliani ritiene «possibile» una guerra civile nel Paese, e il 32% dice «giusto» che i soldati di Tzahal possano rifiutarsi di obbedire all'eventuale ordine di far sfollare i coloni dai Territiori Occupati. Sono dati drammatici, che tagliano dentro bruscamente la coscienza di un popolo, e le sue stesse speranze di vita. Ma anche il 60% degli israeliani è per la continuazione delle trattative con l'Olp, e solo il 40% continua a essere contrario. La pace non arriva in un giorno, soprattutto la pace degli animi, dello spirito. Ieri sei soldati israeliani sono stati feriti nella striscia di Gaza da una granata lanciata da palestinesi. Tempi amari ancora verranno, ma anche i morti di Afula, perfino questi morti, dicono che ormai il tempo dell'odio si va consumando. Nei prossimi giorni arriveranno a Gaza e a Gerico le prime «forze armate» palestinesi; in realtà saranno solo alcune centinaia di poliziotti, ma la pace in Medio Oriente abbiamo ormai imparato che si fa solo a piccoli passi. Che i morti di questa antica terra dell'odio riposino finalmente in pace. Mimmo Candito La gente grida: «Rabin vattene a Gaza» e «Viva Goldstein» Nei Territori occupati palestinesi lanciano una granata contro sei soldati MAR MEDITERRANEO HAIFA AFULA (ì ::Noblus : ISRAELE Rombi ' Ramal|ah; • *J :: : ; 5ERUSAIEMME .• ": ;'" Betlemme ' if Hebron . Beer • Sheba < z Di o o Due drammatiche immagini dell'attentato di ieri ad Afula, che ha fatto otto morti e oltre quaranta feriti [FOTO EPA-REUTER]