ci vuole coraggio in video a parlare di bontà tutto l'anno

r mmmmmm TIVÙ'& TIVÙ' f wo/ coraggio, in video a parlare di bontà tutto Vanno CI sono occasioni speciali in cui è facile prevedere programmi edificanti. A Natale tutti sono più buoni, ma pure a Pasqua ci si comporta bene: c'era una volta una televisione in cui, il Venerdì Santo, il telegiornale era listato a lutto, non si potevano trasmettere varietà e i film erano obbligati al tema religioso, o almeno austero. La tv confessionale appartiene a un'altra era, però anche adesso le reti si tengono abbottonate, intorno a certe scadenze. Via Crucis del Papa, Bernadette, il Re dei Re, Gesù Cristo nella persona di Max Von Sydow popolano questo weekend, legittimati dalla ricorrenza, che è uno spunto, se non un'idea per fare qualcosa di diverso. Ma c'è un programma che di argomenti diversi, difficili, ostici, parla tutti i giorni, adesso anche in versione serale: «Il coraggio di vivere», in onda su Raidue. E per fare una tv che non sia, secondo la moda, volgare e corriva, ma abbia addirittura ambizioni di reale servizio, serve anche a loro, il coraggio: agli autori Riccardo Bonacina, Gio¬ vanni Anversa (che conducono) e Pierguido Cavallina; serve al direttore Minoli, e prima ancora serviva al suo vituperato predecessore Sodano. La puntata di venerdì era dedicata agli «estremisti della bontà», a coloro che hanno intrapreso strade di folle solidarietà verso il prossimo. Sono sacerdoti, sono laici, sono credenti oppure no: sono tutti volontari, persone che lavorano in autonomia, splendida e abbandonata. Soli, si occupano di una consistente fascia di problemi che lo Stato ha completamente abbandonato. Lo Stato non potrà mai sovrapporsi al volontariato, ma potrebbe almeno affiancarlo: invece fugge, come ci ha confermato la recente campagna elettorale. E' difficile parlare di bontà, è ancora più difficile parlarne in televisione: dov'è il confine tra prassi e retorica? E' labile, ma Bonacina e Anversa sono tanto lucidi da non oltrepassarlo quasi mai. Certo, un programma così non potrà mai puntare sull'ascolto, e anche per questo è coraggioso continuare a farlo. Il pubblico ha bisogno degli scherzi ai vip, non di pensare a chi sta peggio. E' ovvio, è legittimo. Eppure colpivano cuore e cervello, l'altra sera, gli «estremisti della bontà». Colpiva don Gelmini, che usa tutti i mezzi, anche la televisione, per aiutare i suoi malati. I grandi santi sociali piemontesi dell'Ottocento, don Bosco, Cafasso, Cottolengo, non avrebbero usato la televisione se questa avesse dato loro anche una sola possibilità in più per aiutare qualcuno? Scrollerebbero le spalle sul dilemma intellettuale dell'appartenenza politica del mezzo, sarà di destra o di sinistra? Si chiederebbero: serve a darci un letto in più, un po' di soldi in più, un posto di lavoro in più? Se serve, usiamola. C'era un prete di Palermo, venerdì, don Giacomo D'Amico: piccolo, inagrissimo, raccoglie denaro e cibo, la sua casa sembra un supermercato. Naturalmente è solo, non lo aiutano neanche i confratelli. Diceva: «Ma li capisco: non è facile chiedere denaro, non è facile avere il carisma dell'accattonaggio». Alessandra Co ma zzi zzi |