Rivoluzione culturale di Gabriella Bosco
Rivoluzione culturale Rivoluzione culturale Portò in Italia la grande rottura con gli storicismi dominanti £\ I DIO i viaggi e i viaggiatori». 11 Comincia paradossalmente 11 così Tristi Tropici, lo straor11 dinario racconto autobiojZJ grafico di Claude LéviStrauss sulle esplorazioni da lui condotte presso gli indiani del Brasile, i Bororo, i Caduveo, i Nambikwara. Lévi-Strauss viaggiava per la scienza, non ha mai potuto capire il viaggio come avventura. Il successo delle sue spedizioni di studio è stato ogni volta, sentir lui, determinato da «mancanza totale di immaginazione», che portava all'annullamento del concetto di rischio. E' nato così un libro che sta per compiere quarant'anni e che, tra¬ dotto in Italia nel 1960 (da Bianca Garufi per II Saggiatore), aprì la strada nel nostro Paese agli scritti più tecnici di Lévi-Strauss. Il libro in altre parole che portò l'antropologia strutturale in Italia. Ne doveva derivare una vera e propria rivoluzione culturale. In un ambito in cui il sapere era dominato da prospettive di tipo storico e storicistico - dall'esistenzialismo versione marxista alla fenomenologia husserliana di Enzo Paci, dal permanere della tradizione idealistica crociana al maggior positivismo di Geymonat - Lévi-Strauss portò una vera e propria rottura di tipo epistemologico, proponendo un'analisi strutturalista che ignorava i legami di natura storica. Uno tra i primi e più attenti lettori in Italia di Tristi Tropici fu Primo Levi (che avrebbe poi tradotto per Einaudi La via delle maschere e Lo sguardo da lontano). Ma chi più si diede da fare da subito perché i testi teorici del nuovo sapere fossero al più presto disponibili nella nostra lingua e entrassero direttamente nel dibattito culturale fu Paolo Caruso, oggi manager editoriale della Mondadori. Oggi continua a considerare Lévi-Strauss uno tra i più grandi pensatori del Novecento. «Con Heidegger, il più tipico, il più significativo del nostro secolo». «Per quanto riguarda specificamente la tecnica di ricerca di Lévi-Strauss, se si devono individuare oggi dei limiti ora che la moda dell'antropologia strutturale è passata - è nell'ideologia implicita che bisogna cercarli, soprattutto se intesa in senso restrittivo e scolastico. E' riduzionismo impoverente pensare la realtà semplificabile in schemi strutturali. Lévi-Strauss può contro le sue intenzioni aver creato l'equivoco. Ma è certo il suo contributo all'adesione del mondo moderno e il suo pensiero, seppure in maniera sorda, è presente nei campi più diversi, scienze, arti, filosofia; anche il pensiero debole, apparentemente polemico con Lévi-Strauss, lo considera in realtà, punto di riferimento. Basta consultare le bibliografie per rendersene conto». Dall'interno della disciplina provengono vantazioni non distanti. Un protagonista dell'antropologia odierna come Francesco Remotti, che era studente universitario negli anni in cui Lévi-Strauss giunse in Italia e dunque non solo ma soprattutto su di lui si formò, ricorda: «Già prima erano stati tradotti testi di Malinowski, della Benedict. Ma solo con l'arrivo dell'antropologia strutturale di Lévi-Strauss, la cui portata teorica era assai più pronunciata, si fece strada la consapevolezza, la rivendicazione della legittimità di un approccio di tipo comparatistico». «Se si cominciò a discutere di strutturalismo da noi, fu in relazione a Lévi-Strauss che se ne servì per legittimare l'antropologia, farne un sapere autonomo e scientifico. «Oggi non è più difendibile l'ambizione che animava la prospettiva di Lévi-Strauss, l'idea che volendo e potendo prescindere dalle condizioni storiche l'antropologo poteva assumere un punto di vista universale. "Il punto di vista di Dio", lo chiamò Lévi-Strauss in una celebre intervista. Questa ambizione è l'aspetto caduco. Rimane invece del tutto intatta l'esigenza, la rivendicazione di poter compiere analisi comparative anche a prescindere da connessioni storiche. Tuttora buona parte dell'antropologia si può riconoscere in questo. Anche chi non se ne rende conto o non ama oggi rifarsi esplicitamente a lui, è debitore di Lévi-Strauss». Gabriella Bosco
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