Le due vite di Katiuscia regina del fotoromanzo

Star a 14 anni, ha saputo sconfiggere l'eroina Star a 14 anni, ha saputo sconfiggere l'eroina Le due vite di Katiuscia regina del fotoromanzo DiariO ITALIANO ROMA DAL NOSTRO INVIATO Caterina incrocia le gambe sul trono. Getta indietro i capelli. Come una principessa sbarazzina. E lo è stata davvero, due vite fa. Era una principessa di carta, la piccola diva del fotoromanzo. Erano gli Anni 70, non c'erano né telenovelas né soap opera, non c'era Ambra con le sue replicanti di «Non è la Rai». C'era lei, Katiuscia, la ragazza Lancio che fu adolescente per una vita, che rendeva possibili amori impossibili e ti guardava dalla copertina del rotocalco sotto titoli come «Ho quindici anni e ti amo». C'erano i suoi colleghi dalle facce pulite e costruite e nomi un po' esotici (Max Delis, Erika, Frank O' Neal), inventati alla scrivania, come il suo. C'era un'altra Italia, che cresceva sognando e si sarebbe svegliata sbagliando. Caterina siede su un trono di legno, nella saletta del suo negozio d'antiquariato incastonato nel cuore di Roma, in via Santa Maria dell'Anima. Due porte più in là c'è la residenza romana di Silvio Berlusconi, a pochi metri l'hotel Raphael che lo fu di Bettino Craxi: Italia Anni 90 e Anni 80, distanti un soffio di ponentino. Sono spariti per sempre solo gli Anni 70. E con loro Katiuscia. Restano i ricordi. Una vita da fotoromanzo. Ma anche qualcosa di più. Quello che nei fotoromanzi non c'era: gli errori e quello che costano. Poi il lieto fine. Sennò, che fotoromanzo sarebbe? La prima scena è a quattordici anni. «Ero una ragazzina racconta Caterina - accompagnavo mia sorella sul set della Lancio, quando il direttore volle conoscermi. D'incanto mi trovai davanti alle macchine fotografiche anch'io. Mi sembrava un sogno, girai la prima storia assieme a un attore bellissimo, un francese, si chiamava Pierre Clement. E fu subito successo. Ero una ragazzina, ma ero già famosa come una diva. Mi conoscevano anche all'estero. Mi riconobbero in una sperduta isola dei Carai- bi. Per le ragazze ero diventata un modello. Fisicamente, perché rappresentavo un ideale raggiungibile. Moralmente, perché ero moderna e spregiudicata. Mi imitavano. Apparvi in una storia con un paio di scarpe da tennis con le zeppe e la Lancio fu subissata di lettere per sapere dove si potevano acquistare. Ricevevo valanghe di biglietti, regali, c'erano i pullman di gente che veniva ai cancelli della Lancio per vedermi. E avevo solo quattordici anni. Anzi, non li avevo affatto. E non li ho più avuti indietro. L'autista veniva a prendermi all'uscita di scuola e per sei ore posavo davanti ai fotografi. Non potevo andare in discoteca sennò scoppiava il putiferio. Un giorno d'estate provai ad affacciarmi sulla spiaggia di Rimini e fui costretta a scappare. Adesso capisco che era troppo presto perché quelle cose mi accadessero, ma allora non riuscivo a frenare. Ora lo so: a quattordici anni è meglio avere un mito piuttosto che essere un mito. Ora lo so e quando guardo in televisioneAmbra e le sue amiche, quando sento delle valanghe di lettere e regali che ricevono, dei pullman di ragazzi ai cancelli della Fininvest scuoto la testa, penso che sia sbagliato per loro, ma so che a quell'età non si è capaci di dire stop. Io per prima non l'ho fatto. Nessuno di noi fu capace di farlo». «Loro» erano i ragazzi che fe- cero sognare una generazione. Facce da eroi dei fumetti, abbigliamenti che a guardarli oggi fanno sorridere, battute ingenue appese nel cielo sopra le loro teste ben pettinate, destini spesso lontani dalle trame che vivevano sulla carta. Destini: Franco Gasparri, il più amato, ciuffo nero copiato da Billy Bis, detective dell'Intrepido, diventato famoso al cinema con la serie Mark il poliziotto, vittima di un incidente stradale, costretto sulla sedia a rotelle. Caterina abbassa gli occhi: «Avrei voluto essergli vicina. Non ci sono riuscita. E' una mia colpa». Destini: Max Delis, faccia da duro. Uno di quelli della serie «Live fast, die young», vivi veloce e muori giovane. Morto giovane, in effetti. Caterina glissa: «Non ri¬ cordo a causa di cosa». La risposta è: droga. Ricorda invece come morì Erica, che recitò un anno soltanto, prima di schiantarsi sulla strada. E Franco Antonelli, che si faceva chiamare Frank O'Neal, era nazionale di polo, e morì cadendo da cavallo. «Qualche volta morivamo anche nei fotoromanzi - racconta Caterina -. Poche volte, ma accadeva. Ed erano i numeri più fortunati. Sono andate esaurite perfino le ristampe. Introvabili. Andavamo fortissimo». Andava forte anche Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, gemella negli occhi di lago. Ha sposato Mauro Leone, figlio del presidente della Repubblica dimissionario, coinvolto negli scandali di Tangentopoli. «No - dice Caterina-, a quel matrimonio non ci sono andata. Non mi ha invitato. Credo non abbia invitato nessuno di noi». Erano già arrivati gli Anni 80, illuminati dai fari del Nulla. Si è accesa la televisione, ha regalato storie di amori e morti impossibili senza dover neppure scendere all'edicola all'angolo. Ha proposto nuovi e più facili modelli. Katiuscia, principessa dimenticata, ha continuato ancora per quattro anni ad essere un'adolescente innamorata, a recitare parti che non le appartenevano più, lontane da lei e lontane da un mondo che stava cambiando. Lei ha cambiato casa editrice, città, avuto un figlio, smesso di recitare, di essere Katiuscia. Poi ha combattuto la battaglia più grande della sua seconda vita. E l'ha vinta. Non c'è nessun fotoromanzo che lo racconti, c'è solo la sua voce, il suo sguardo che non si abbassa, perché chi ha pagato e riscattato può guardare in faccia anche i propri errori, sapendo che averli superati ti rende migliore di come eri prima: «Il mio errore si chiamava droga - dice -. Eroina. Presa per curiosità, per sfida, perché ho sbagliato e basta. Ma l'ho vinta. Ce l'ho fatta restando un anno alla comunità Saman di Marsala, quella fondata da Mauro Rostagno. Poi sono rimasta lì ancora per altri due anni, cercando di aiutare gli altri ad uscirne. Non è facile. Pochi ce la fanno. Molti ci ricascano. Quando esci, ti ritrovi da solo, coi tuoi problemi. La comunità non ti segue più. E' così che tanti si arrendono. Io no». Lo dice con sicurezza, senza farsi concessioni. Katiuscia non c'è più. Passeggia nelle strade della memoria con il suo fardello di diva bambina e il suo biglietto per il cielo staccato in anticipo. Al suo posto c'è una donna che ti mostra una piastrella di ceramica smaltata di blu: «Viene da Marsala - spiega -. Là ho imparato a lavorare l'argilla, adesso ho aperto un laboratorio e ne vendo i prodotti qui a Roma». Addio Katiuscia. Senza rimpianti. Caterina è una madre serena. Ha smesso di avere quindici anni per sempre. «Crescere io?», ride. «Crescerò domani». Ma è una bugia. Gabriele Romagnoli Una «maledizione» sui dividei fumetto «Non siamo stati capaci di frenare il destino» «Compiango Ambra quando si è ragazzine è meglio avere un mito piuttosto che esserlo» A sinistra Katiuscia. Sotto l'ex divo di fotoromanzi Franco Gasparri Accanto, Ambra e a sinistra Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti

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