L'assedio alla democrazia fra fanatismo e crisi curda di Mimmo Candito

Una donna tunisina e uno spagnolo le due vittime Gli artificieri hanno trovato altri due ordigni ancora inesplosi L'assedio alla democrazia fra fanatismo e crisi curda IL RITORNO Al SECOLI BUI ON era poi cominciata molto diversamente, in Egitto e in Algeria. Una prima bomba, poi una seconda, poi le minacce ai turisti, e in ultimo il vero e proprio attacco allo Stato. La Turchia entra lentamente nella spirale dell'integralismo islamico; e su un'Europa incerta perfino della propria identità politica si proietta ora l'ombra di questo drammatico slittamento verso i secoli bui, uno slittamento più pericoloso anche dei fantasmi che la crisi bosniaca ha sbattuto in faccia alle miopi capitali del continente. A Oriente, dentro le terre della Turchia, la fine estrema dell'Europa è un abbraccio senza fine: si chiama Abide, è una collinetta dolce di terriccio rosso, che scivola pigramente nelle acque dei Dardanelli e subito si ritrova a salire quieta dall'altra parte, a Pamukkale, che è già Asia e si vede a occhio nudo. Qui non c'è frattura, non c'è rottura brusca di segni e, quasi, di storia: le acque del Mar di Mannara nascondono appena la continuità del profilo geografico, come se tra i due continenti il confine fosse una convenzione inaccettata, perfino ingiusta. Per questa sua geografia simbolicamente ribelle, ma certo anche per la storia dell'Impero Ottomano, che dominò lungo secoli di splendori le rotte del Mediterraneo fino a minacciare severamente i minuetti delle antiche corti e il primato della Chiesa di Roma, la Turchia stenta a farsi riconoscere oggi nelle frontiere dell'Europa cristiana e carolingia; le sue tradizioni orientali, la sua cultura musulmana, si mostrano estranei allo sviluppo omogeneo dell'Occidente. Ma questa stessa Turchia della quale l'Europa diffida è poi (ancora oggi) uno dei pilastri della Nato, assorbe alte quote di capitali e di investimenti delle imprese europee, e con i suoi 60 milioni di abitanti e un tasso di crescita demografica del 2,3% si prepara ad essere il più attraente e disponibile terreno d'intervento per le offerte di beni di consumo e di prodotti industriali a media tecnologia delle economie europee in crisi. E . o anni fa aveva anche presentato domanda di adesione alla Comunità Europea, ricevendone però un rinvio al Duemila che, pur nella cortesia diplomatica delle forme, era parso una porta sbattuta in faccia; e già allora, in quegli anni ormai lontani, le tensioni del mondo arabo e le convulsioni rivoluzionarie di Khomeini erano parse un allettante terreno di rivincita che si offriva allo sdegno di questa periferia d'Europa. Domenica scorsa in Turchia si è votato per eleggere sindaci e poteri locali. Presi dalle incertezze delle elezioni nostre, non si è badato molto a quanto avveniva laggiù; ma anche in Turchia c'è stata una mezza rivoluzione, tanto che Necmettin Erbakan ha detto: «Questo è stato il giorno più importante negli ultimi mille anni di storia turca». E' probabile che esagerasse, però il successo del suo gruppo (il partito del Benessere, integralista), che ha conquistato ventisei delle settantasei città in gara, vale davvero come un segnale d'allarme per tutta l'Europa. Il partito del Benessere fino a ieri controllava soltanto quattro città, Konya, Kayseri, Nevseher e Sivar; oggi la sua presenza si allarga sull'intero territorio nazionale, si insedia in larga parte dell'Oriente anatolico e della regione curda, prende possesso delle due grandi capitali del Paese, Ankara e Istanbul. «Abbiamo perduto la testa e il cuore della nostra terra», hanno detto amaramente i kemalisti. Kemal Atatùrk, il padre della patria, il generale che aveva recuperato una nazione dallo sfascio dell'Impero Ottomano, aveva voluto che la nuova Turchia fosse laica e occidentale. Era stato reciso ogni legame con gli antichi califfati e con la legge del Corano, e i mullah e le moschee erano diventati frammenti di un paesaggio culturale dove la religione si fermava nell'ombra di¬ screta delle scelte private. Ancora oggi la vecchia casa di Atatùrk, ad Ankara, è un museo affascinante di bric-à-brac affastellati lungo gli itinerari spirituali dell'Europa. Ma sempre più, oggi, ad Ankara, e perfino a Istanbul, lungo le strade si vedono donne con i capelli coperti, chiuse a ogni occhio dentro lunghi abiti castigati. Nonostante il loro successo, gli islamici di Erbakan hanno comunque avuto soltanto il venti per cento dei voti. Ma in una società tentata dalle avventure dello sviluppo e però perduta ancora dentro le contraddizioni di un mondo rurale, che è poi l'infinita distesa dell'interno della Turchia, l'irrompere degli integralisti sul primo palcoscenico della vita politica riporta subito alla memoria tensioni e angosce che mai sono state veramente cancellate. Nulefar Gole, uno dei più noti sociologi, ha detto: «Questo voto esprime una rivolta sociale e politica, più che una vera islamizzazione della società»; però oggi in Algeria e in Egitto, come fu quindici anni fa in Iran, è l'incontro tra le frustrazioni di una modernizzazione difficile e la ricerca di un'identità in crisi che consegna nel- le mani del fondamentalismo4a chiave d'accesso al potere dello Stato; e Gole aggiunge: «Ho paura delle reazioni del potere, questa è una prova drammatica per la nostra democrazia». Negli ultimi quarant'anni, i generali turchi per ben tre volte hanno ripreso il potere nelle loro mani. Lo hanno sempre fatto «per riportare il Paese sulla strada voluta da Kemal», contro le tentazioni dell'estremismo religioso e politico. Oggi la minaccia fondamentalista si unisce alla crisi drammatica delle regioni curde, dove una guerra dimenticata accumula ogni giorno morti e repressione. E l'economia paga i costi di una difficile industrializzazione con il trenta per cento di svalutazione nei primi quattro mesi dell'anno. L'ultima volta che i militari ripresero il potere, a settembre dell'80, il generale Evren si presentò al giuramento facendosi accompagnare dalle note della Quinta di Beethoven. Era un omaggio all'Europa, una scelta di continuità con le radici del sogno kemalista. Ma era una dittatura. Mimmo Candito Per il leader del partito islamico il successo al voto è l'evento maggiore in 1000 anni di storia

Persone citate: Beethoven, Erbakan, Evren, Kemal Atatùrk, Khomeini, Necmettin Erbakan