Una Rete di veleni e sospetti

Una Rete di veleni e sospetti Una Rete di veleni e sospetti Palermo, così affonda ilpartito di Orlando IL GUSTO DEL COMPLOTTO PALERMO A Peppino al Politeama, ristorante storico e luogo preferito dei palermitani nottambuli, si tira tardi e si parla di politica. Ci vanno tutti da Peppino, i reduci della prima Repubblica, i nuovi della seconda e i nuovissimi di Forza Italia. Ci vanno quelli dell'antimafia e, naturalmente, i giovanotti che gravitano un po' sospesi nella cosiddetta area del consenso mafioso, oltre ai poliziotti in cerca della pizza notturna e più di un magistrato reduce dal cinema o dal teatro. E tutti, da un tavolo all'altro, si lanciano sguardi, si sbirciano, anche con evidenti segni di reciproco sospetto. Qui si incrociano le voci più incredibili, si ipotizzano le più impensabili collusioni, si ritagliano etichette su misura. Qui si parla dei complotti palermitani, non importa quanto reali. Il complotto, a Palermo, fa parte del panorama: c'è Monte Pellegrino, Mondello, il gelato da Recupero e la trama oscura e velenosa, però di giornata. Quanti veleni sono stati evocati tra una pizza e un piatto di pasta con le sarde. Il sospetto anticamera della verità? Al tavolo con la tovaglia a quadri bianchi e rossi i protagonisti di ogni complotto procedono alla vivisezione dei rispettivi avversari. L'ultimo nasce dal ventre della Rete, il movimento di Leoluca Orlando, ieri sindaco idolatrato, oggi ayatollah tradito da sudditi già bollati come volubili, traviati dall'amore improvviso per un altro «stregone», il Berlusconi ottimista del nuovo miracolo italiano. Che sorprese può riservare la politica: la Rete che rischia di essere disintegrata dalla malattia che tutti, fino a qualche giorno fa, indicavano come la più formidabile delle sue «arti». Il gusto del complotto, appunto. La storia è nota e da Peppino se n'è parlato: il senatore Carmine Mancuso accusa parte della Rete di avere cercato di boicottarlo alle elezioni. Ma com'è naturale qui a Palermo la lotta elettoral-politica non può non avere una componente oscura, ecco allora che il senatore aggiunge: «Mi volevano delegittimare per farmi uccidere dalla mafia». Chi? I nomi non sono stati pronunciati nei comunicati, o meglio non tutti. Ma di notte, davanti a una bottiglia di «Colomba» ben fredda, vengono fuori: Pippo Russo, Franco Piro, Gaspare Nuccio, insomma la componente della Rete considerata della seconda generazione. Cioè quelli venuti, dopo la fondazione, specialmente da democrazia proletaria e dai dissidenti pei, come Alfredo Galasso. Mancuso va giù con l'accetta nel denunciare il complotto e ricorre persino al vecchio linguaggio, quello che accomuna gli avversari alla «canea rabbiosa composta da qualche portaborse con lauti appannaggi». Lui che è stato eletto uscendo dalla catastrofe come un miracolato, replicano gli altri, adesso vorrebbe imporre la legge del più forte per un malinteso senso di rivalsa. Vuol regolare i conti e utilizza metodi cari alla mafia. Rieccola, la nemesi. Complottomania a muso duro. Orlando tace e non si schiera. A domanda non risponde e restano inascoltati anche i richiami a fare intervenire il garante nazionale, mentre l'assenza di un argine alla faida dà la stura ad ipotesi e controipotesi, tutte in stile rigidamente carbonaro. I frequentatori di Peppino lasciano intendere che Mancuso è pronto per fare il salto della quaglia: verso Rifondazione o addirittura in braccio al cavalier Berlusconi che al Senato non disdegnerebbe qualche transfuga, mancandogli una manciata di parlamentari per arrivare alla maggioranza assoluta. Ma il complotto ordito da Mancuso affonderebbe le radici addirittura nel passato recente. Ricordate l'autorizzazione a procedere per Andreotti? Mangiucchiando finocchi in olio, sale, pepe e aceto, i dietrologi della notte raccontano: «Non erano trascorse neppure ventiquattr'ore che il senatore della Rete spiegò al giornalista Andreani che Buscetta non aveva mai detto la verità ed aveva lavorato per i Servizi». Già allora la Rete non si trovò d'accordo con Mancuso e tanti complottisti si chiesero il perché di quell'improvviso ravvedimento in chiave garantista da parte di uno che del sospetto aveva sempre fatto «buon uso». Ergo, se c'è un complottista, questo è lui. Così arrivati alla frutta, ti fanno osservare un altro episodio. Riguarda la posizione di Mancuso sulle recenti vicende del Banco di Sicilia. «Posizione sospetta» è il giudizio, «e comunque non in linea con la maggioranza della Rete». Anche allora non ci furono grandi reazioni del prof. Orlando. Insomma, il sospet¬ to è che, stringi stringi, il capo la pensi come Mancuso. «A meno che...», e il cameriere di Peppino ha già portato il caffè, «a meno che Orlando non sia costretto a difenderlo perché il senatore dispone di argomenti riservati e convincenti». Palermo è la città dei Beati Paoli e delle loro assemblee segrete. Forse è per questo che i fatti non vincono sulle convinzioni. E così anche il ricordo del primo strappo tra Nando Dalla Chiesa, Claudio Fava e Orlando, quello di Riccione, quando la leadership di «Luca» fu messa in discussione ufficialmente, viene immediatamente fagocitato dal canovaccio dell'ultimo «grande complotto», che ha l'effetto di fare sbiadire i nomi degli altri leader della Rete, travolti dall'insuccesso elettorale. Il movimento si squaglia. Chi si salverà? Se è vero che i mille rivoli della sinistra finiranno nello stesso invaso, l'unico che - in questo mare - sembra poter aspirare a sopravvivere forse è proprio lui, Orlando. Non ha perso del tutto il dono della comunicativa col popolo, continua ad essere visto come un tribuno, non è mai stato comunista ed è come sempre estremista: adatto ai tempi. Francesco La Licata Il grande accusatore Mancuso nel mirino: «E' un miracolato e usa metodi cari alla mafia» 1 ■ i Alfredo Galasso (sopra) e a lato Leoluca Orlando, leader della Rete e sindaco di Palermo. A destra Carmine Mancuso C'è anche l'ombra di Giulio Andreotti (a lato) nelle analisi dei dietrologi di Palermo secondo i quali Carmine Mancuso avrebbe accusato il re dei pentiti Buscetta di non aver mai detto la verità

Luoghi citati: Palermo, Riccione