In squadra l'uomo più amato perche il cavaliere vuole il pm al governo

In squadra l'uomo più amato In squadra l'uomo più amato Perché il Cavaliere vuole il pm al governo LATOGAE IL BISCIONE E ' MILANO che io non ho il pallino della politica». Antonio Di Pietro risponde da Sydney alle serenate di Silvio Berlusconi. Tra il magistrato più famoso d'Italia e la poltrona di un ministero (la Giustizia o magari l'Interno) c'è oggi, e resterà domani, un doppio oceano. Ma niente paura, le indiscrezioni, il tam tam dei giornali andranno avanti lo stesso. Per moto proprio, come la speranza. Sarà che l'idea piace a tutti, o quasi, sarà che sul suo nome gli italiani hanno visto rifare l'Italia, sarà che l'eroe in toga (svolazzante) è pure diventato una star televisiva - con quei suoi burberi monologhi ritrasmessi con trionfo di audience, e le litigate, e le urla, e i colpi di scena investigativi, e i potenti genuflessi al suo cospetto -, ma pensare a una Seconda Repubblica senza un Di Pietro al governo sembra eresia, menomazione imperdonabile. E perciò il «no grazie» che oggi spedisce, quel sarcastico «E' solo un pesce d'aprile tra giornalisti», arriva affievolito, incongruo. Inascoltabile. Silvio Berlusconi (tanto per cominciare) non mollerà la presa. Fine d'orecchie, inesperto di politica, ma ferratissimo nel marketing, sa che il successo si costruisce con lenta ostinazione, ma anche con fulminei fuochi artificiali. La formula è sempre quella: annettersi le star. Lo ha fatto con la Rai (ricordate i ruggenti Ottanta con Bongiorno, Carrà, Baudo conquistati in una notte?). L'ha rifatto nel calcio, spazzolando i migliori con la delicatezza di un tornado (Van Basten, Gullit, Papin incassati per il tripudio dei tifosi). Un'occhiata al mercato, il botto, gli applausi. A Di Pietro ci pensa da un bel po', sprofondato nella sua poltrona di Arcore. Dai tempi in cui si gingillava con l'idea di fondare un partito e vincere le elezioni. Da quei giorni di inizio estate quando sceglieva i pezzi per il suo «kit del presidente» e al pianoforte strimpellava i primi accordi dell'inno. «Di Pietro lo voglio con me» andava ripetendo ai suoi collaboratori, tamburellando le dita sul tavolino fine Settecento. «Impossibile», gli rispondevano i vari Codignoni distribuiti tra i divani e la finestra. Ma lui niente, fedele alla sola regola della sua avventura: «Bisogna pensare in grande». Per dirlo in pubblico ha aspettato parecchio. Ma lo ha fatto, all'improvviso, la sera del 22 febbraio scorso, sul palcoscenico del Costanzo Show, buttando lì una frase veloce come un'alzata di spalle: «Di Pietro? Sì che mi piacerebbe averlo!». Un sorriso e poi più niente. L'effetto però (erano i giorni di campagna elettorale) si è sentito eccome. Una cascata di «Oooh» ruscellanti come quando, di passata, sbalordì il giornalaio Funari - e alcuni milioni di elettori con il celebre: «So come creare un milione di posti di lavoro». Il magistrato non vuole smettere la toga? Non vuole abbandonare l'inchiesta? Non vuole occuparsi di politica? Non importa. Berlusconi si fa avanti al telefono. Gli uomini dello staff confermano: il Dottore lo ha chiamato dopo le elezioni. E lasciano filtrare piccole notizie qua e là: l'approccio c'è stato e lo consideriamo positivo. Oppure: i due si stimano parecchio. Oppure: per adesso ha rifiutato, però. L'attrazione è fatalissima. Mai incrinata. Neppure quando Mani pulite minacciò di colpire la Fininvest: l'annunciato (e non eseguito) arresto di Marcello Dell'Utri, colonnello di Silvio, portava la firma di Gherardo Colombo, ma non la sua. Di Pietro gli sta proprio vicino al cuore: devoto ai sondaggi e alle classifiche di popolarità, Berlusconi sa di essere più celebre di Gesù Cristo (fine 1993), più «imprenditore» tra gli imprendi¬ tori, più «simpatico» tra i simpatici, ma è rassegnato a rimanere secondo quando si chiede agli italiani «voi in chi avete più fiducia?». Lo ha pure detto: «Di Pietro mi batte» e gli deve'essere costato una mezza insonnia. E poi quel magistrato è la passione di Francesco Cossiga che a sua volta è (l'altra) passione di Berlusconi. Con Tonino l'ex Presidente è sempre stato largo di elogi. «La storia personale di Di Pietro - ha scritto in una note- rella - è davvero diversa da quella di tanti "signorini" che infestano la magistratura». E sempre Cossiga ha firmato la prefazione del primo libro di Di Pietro, «La Costituzione spiegata ai ragazzi», in uscita a maggio. Giratela come vi pare, il Dottore non vuole farselo scappare. Anche se l'alleato-nemico Umberto Bossi scalcia: «I magistrati devono continuare a fare i magistrati». Anche se l'onorevole Titti Parenti (autocandidata al ministero di Grazia e Giustizia) nasconde la stizza incurvando le labbra-rossetto: «Di Pietro ministro? Sono solo voci e io alle voci non credo. Non sono mica Giovanna d'Arco». Neanche Di Pietro crede alle voci e per non sbagliare non ne pronuncia affatto, fuori dalle aule di giustizia. Mai parlato di politica. Mai un'opinione che non riguardasse i codici. Si sa come la pensa Gerardo D'Ambrosio, per chi batte il cuore di Gherardo Colombo, per chi ha votato il moderato Italo Ghitti. Si sa che Francesco Saverio Borrelli guarda con simpatia quelli di Magistratura Democratica. Su Tonino buio completo. Gli archivi annoverano l'unico suo gesto politico (o impolitico): nel lontano 2 dicembre 1991, sciopero nazionale dei magistrati contro le ingerenze di Cossiga presidente, lui batteva tranquillamente alla tastiera del suo computer: «Scioperare? Un magistrato non deve mai». E poi silenzio. Non è cambiato da allora. Tanto per non avere impicci, domenica 27 marzo ha fregato tutti i fotografi appostati in quel di Curno e se n'è andato a votare alle 6,30 del mattino, prima di volare nel suo ufficio transennato. In questi due anni di inchieste, interrogatori e processi, Di Pietro li ha visti da vicino i ministri e gli ex ministri, i padroni della politica, e delle tessere: li ha tutti ridotti in cenere. E forse in solitudine ha meditato sulla caducità del potere e la precarietà della politica. Berlusconi ci arriva adesso, con l'ottimismo del neofita, e l'irruenza del vincitore. Accanto a sé vorrebbe il campione degli italiani e lo corteggerà per bene. Senza lasciarsi sfiorare dal dubbio che Di Pietro, nel frattempo, si è fatto Saggio. Pino Corrias Fabio Potetti Tiziana Parenti

Luoghi citati: Arcore, Curno, Italia, Milano, Sydney