MARION 70 anni da selvaggio

Ma Brando non festeggerà: troppi dolori Ma Brando non festeggerà: troppi dolori MARION anni CHISSÀ' se gli si può ancora dire: auguri, mister Brando. E soprattutto: chissà quale può essere la reazione del divo più amato e più detestato al mondo che, per onorare la propria imprevedibilità, disse un giorno: «A recitare si prova lo stesso piacere di una prostituta». Domani Marion Brando compie settant'anni. Ma dicono che per lui non sarà un giorno di gioia. E non perché sia triste festeggiare il decadimento fisico, il corpo che si slabbra, si allenta, si gonfia al punto da trasformare gli occhi in due tagli di coltello. Sui suoi settantanni pesano le vicende dei figli, quella terribile storia del '91, quando Christian fu condannato a dieci anni di prigione per avere ucciso Dag Drollett, il fidanzato della sorella Cheyenne. Il processo appassionò l'America. Sotto accusa non c'era soltanto un atto di tragica violenza. Nell'aula del tribunale di Santa Monica risuonarono racconti di vita labile, vissuta sui lettini degli psicoanalisti e nel silenzio delle case di cura. Il dramma colpì profondamente la natura cinica di Brando, che esclamò melodrammatico: «Il messaggero della miseria ha bussato alla porta della famiglia». Da allora il Grande Gigione pare sia irriconoscibile. Ma non per questo ha perso un solo grammo di popolarità e di carisma. Basti dire che una sua breve partecipazione a un qualunque film viene ancora compensata con milioni di dollari. Brando resta Brando, nonostante gli odii che riesce a sollevare, i capricci devastanti, il cinismo con cui si fa largo. Un suo biografo, Peter Manso, disse che documentarsi sulla sua vita era stato per lui come navigare in una fogna su una barca dal fondo trasparente. Ma per l'immensa platea cinematografica Marion Brando appartiene a un altro mondo; è il frutto più sconvolgente di Hollywood Babilonia, è l'attore che, agli esordi, si pose come l'esatto contrario della fragilità turbata di James Dean. Avevano studiato entrambi alla scuola dell'Actor's Studio di Elia Kazan e di Lee Strasberg. Ma Brando era fatto di un'altra pasta. Proveniva dall'accademia militare e non aveva la più pallida idea di ciò che avrebbe combinato nella vita. Pensò di far l'attore perché non era neppure un lavoro e, quasi subito, recitò in un ruolo che gli diede grande popolarità. Il film era «Il selvaggio» (1953). Vi interpretava il capo di una banda di teppisti motorizzati, ponendosi come il simbolo di una generazione delusa. Il successo arrivò nonostante gli scettici: Brando non era alto, aveva anche voce debole, che scivolava nel falsetto. Come poteva spuntarla? La spuntò soprattutto perché, oltre a un bellissimo volto, possedeva un magnetismo stregonesco. Lo si vide già a teatro, nel '47, quando Elia Kazan lo chiamò per la parte di Kowalski nel «Tram che si chiama Desiderio» di Tennessee Williams (trasformato in film nel '51). In quello spettacolo Brando aveva soltanto 23 anni, ma il suo Kowalski smargiasso e giocatore diventò un punto di riferimento obbligato per tutti gli attori che da allora furono chiamati a sostenere quella parte. La consacrazione arrivò definitiva nel '54 con il film «Fronte del porto», ancora di Kazan. Da quegli anni in poi la carriera cinematografica di Brando sarà un elenco di successi. Citiamo, quasi a caso, «Viva Zapata!», «I giovani leoni», «La caccia», «Queimada», «Riflessi in un occhio d'oro» al fianco di Liz Taylor. Intanto bruciava amori, seminava disastri. Il solito Peter Manso dice che l'attore provocò una mezza dozzina di suicidi e un numero incalcolabile di aborti. Certo è che Brando cominciava a mostrarsi insofferente del set. Si concedeva lunghe pause, fin quasi a scomparire dallo schermo, oppure si impegnava in modeste produzioni. Il rilancio internazionale arrivò col «Padrino» (1972) e, nello stesso anno, con «Ultimo tango a Parigi» di Bertolucci. Quando girava «L'ammutina¬ I FILM DEL SUO MITO Il tram di Williams 1951: la canottiera più sexy della storia del cinema. Nella parte del brutale e sanguigno Stan Kowalski, in «Un tram che si chiama Desiderio» Brando entrò nella leggenda di Hollywood. Ogni sequenza, pur mutilata dalla censura di quegli anni, trasudava animalesca attrazione fatale. Dove vanno i soldi di «Reteltalia»: giovani autori, qualche esordio promettente poche grandi imprese mento del Bounty», nel 1960, acquistò in Polinesia l'isola di Tetiaroa, 1500 acri di paradiso. Contava di fermarsi lì per sempre, anche perché vi aveva conosciuto la bellissima Tarita, dalla cui unione nascerà Cheyenne. Gli sembrava il luogo ideale per metter fine alle inquietudini, ai disordini, alle dissipazioni. Sappiamo che il sogno andò in frantumi. Anzi nel '92 il Grande Gigione entrò in conflitto con la famiglia reale di Tahiti, che rivendicava il possesso dell'isola. Perdeva un para¬ Il Selvaggio 1954: il mito di una generazione. «Chiodo», moto anticipatrice della ribellione on the road, Brando incarnava l'insofferenza di una gioventù non ancora bruciata ma comunque surriscaldata sulla graticola di convenzioni e perbenismo. Dietro cinismo e strafottenza, la fragilità della solitudine.

Luoghi citati: America, Hollywood, Parigi