Mauthausen, i civili fra pietà e ferocia di Mirella Serri

Mauthausen, i civili fra pietà e ferocia Mauthausen, i civili fra pietà e ferocia Ma quale fu il comportamento di quanti abitavano nei pressi di Mauthausen? Quale fu il grado di partecipazione o di rifiuto dei civili di fronte al progetto di sterminio delle teste di morto? Che tipo di rapporto c'era con gli internati? Lo storico americano Gordon J. Horwitz, nella polemica e dettagliata ricostruzione All'ombra della, morte. La vita quotidiana nel campo di Mauthausen che uscirà a giorni da Marsilio, ha frugato nei registri, nei documenti più riservati e ha raccolto testimonianze orali di segretarie, centraliniste, uomini e donne delle pulizie, cuochi e camerieri del Lager. «Nella zona di Zipf non si parlava affatto di quelle cose», ricorda il sindaco della vicina città di Neukirchen An Der Vockla. Ed è un ritornello in seguito costantemente ripetuto, osserva Horwitz. Era possibile per gli agricoltori, per le massaie, per gli impiegati nell'area vicina a Mauthausen ignorare quanto avveniva nel campo? Il Lager non sorgeva in un deserto, poiché a meno di cinque chilometri si trovava il centro della città. Al momento della sua installazione si svolse una grossa battaglia, a colpi di carte bollate, poiché le autorità locali si opponevano alla costruzione, temendo l'invasione e il disordine portati dagli uomi¬ Quando s'iniziò l'attività dei forni c'erano fumo e puzza giorno e notte Ma tutti facevano finta di niente to gli occhi? «So che lungo la strada gente della città - riferisce Frau M. di St. Florian - dava segretamente agli ebrei del pane, delle patate. Alcuni lanciavano delle mele tra le file. A me non piaceva in ogni caso vedere quelle processioni. Non potevo permettermi di aiutare: se uno l'avesse fatto sarebbe stato portato via immediatamente». A controllare i deportati che venivano avviati verso il campo non c'erano solo le SS ma anche gli adolescenti della Gioventù hitleriana, soldati regolari, poliziotti e vigili del fuoco. Le SS minacciavano i civili che offrivano aiuto ma - osserva lo storico - tra le tante testimonianze «non ce n'era nessuna che abbia citato l'episodio di qualcuno arrestato o fucilato per aver tentato di assistere gli internati». A parte qualche caso isolato, la parola d'ordine fu l'indifferenza. Quando a Hartheim s'iniziò l'attività del forno crematorio e vi fu l'installazione della prima camera a gas, con una commissione medica che selezionava nell'ambito del «programma eutanasia» gli handicappati e i malati di mente, ai residenti non fu certo possibile tapparsi gli occhi. Così ricorda suor Felicitas, una religiosa i cui parenti abitavano nella zona: «Mio fratello Michael venne da me e mi informò che al castello i pazienti venivano cremati. Si soffriva terribilmente per la puzza. Mio padre era svenuto varie volte perché una notte aveva dimenticato di sigillare le finestre. C'era fumo giorno e notte. L'entrata del Lager di Mauthausen. In basso Heinrich Himmler ni di Himmler. Ma questo timore venne spazzato via dalla prospettiva dei vantaggi materiali che avrebbe offerto l'estrazione del granito della vicina cava a opera dei deportati. Dopo l'arrivo dei primi prigionieri, nell'agosto del '38, le SS dovettero fare i conti con la curiosità della gente: «Ogni giorno, e specialmente nel pomeriggio - si lamentava il comandante, l'SS Sturmbannfuhrer Albert Sauer, in un messaggio al governatore del distretto -, trenta-quaranta persone si radunano presso il molo come spettatori curiosi». Come reagiva la popolazione alle scene di violenza che quotidianamente aveva sot¬ Ciuffi di capelli volavano dalla ciminiera fin sulla strada, resti di ossa venivano ammonticchiati sul lato Est del castello e dei camion li portavano a tonnellate al Danubio». Eppure nessuno commentava l'accaduto. Nel generale processo di rimozione collettiva si diffuse la convinzione che l'adesione al massacro o anche il semplice far finta di niente fossero imposti con la forza. In realtà la tacita collaborazione dei civili rese possibile la realizzazione dello sterminio. E fu determinante quasi quanto un'attiva e diretta partecipazione alle operazioni di tortura o di assassinio. In forza della loro apparente indifferenza, sostenuti dalla convinzione che «io non c'entro», persino gli impiegati del castello di Hartheim rimasero fedeli al lavoro loro assegnato, trovando rifugio nella routine della propria mansione. Elisabeth Lego, una delle dieci segretarie, compilava i certificati di morte, chiusa in un silenzio per nulla innocente: «La mia occupazione quotidiana consisteva nello scrivere la corrispondenza con cui si informavano i parenti delle persone gasate. La causa della morte era scritta dal dottor Lonauer a matita. In numerosi casi si trattava di polmonite o di insufficienza cardiaca. C'erano anche ulteriori annotazioni, ma poiché erano adoperati molti termini medici non me li ricordo più». Mirella Serri

Persone citate: Albert Sauer, Elisabeth Lego, Gordon J. Horwitz, Heinrich Himmler, Himmler, Horwitz

Luoghi citati: Neukirchen An Der Vockla