Doisneau il bacio «rubato» più famoso del mondo
Doisneau, il bacio «rubato» più famoso del mondo Doisneau, il bacio «rubato» più famoso del mondo Decine di innamorati si riconobbero in quell'immagine, lui li deluse tutti: erano due modelli grafo in una delle tante tipografie che in quegli anni sfornavano i migliori libri del mondo. Poi lavorò alle foto pubblicitarie per le automobili della Renault. Potendo vantare un maestro come Atget, nel 1939 fece il grande salto, guadagnandosi collaborazioni in proprio con le riviste Excelsior, Point de Vue, Life, Noir et Blanc, Match. Cominciò così a battere, circospetto come un ladro, gli angoli più reconditi di Parigi. «Bracconiere», lo definì Jacques Prévert: «La preda, che disprezza il cacciatore più di quanto lo tema, ha invece un debole per il bracconiere, eh", considera alla stregua di un fratello. E se potesse scegliere, preferirebbe passare per le sue mani... E' per questo che, quando colui che dorme da sveglio, ancora per metà immerso nelle sue mille e una notte, incontra Doisneau che gli sorride nell'avara luce della periferia, risponde al sorriso e si lascia fotografare, perché ha a che fare con un compagno di viaggio, un compatriota dell'esistenza». Più che cacciatore, però, Doisneau si sentiva pescatore, «in perenne attesa, in balia del fiume». Finita la guerra, era già un «nome»: dal '47 al '49, fotografo per Vogue, fu chiamato ad esporre le sue opere a Chicago e a New York, poi a Tokyo, Pechino, Colonia, Roma, Barcellona, Londra e Oxford. Il mestiere stava cambiando, non era più un «lavoro da minatori»: «Ho debuttato ai tempi di Atget - rac- contava -, allora tutto era più complicato, più pesante, gli apparecchi erano di legno. Quando si posavano gli attrezzi, era come gettare l'ancora». Ma il mestiere cambiava anche perché Doisneau non aveva più bisogno di «rubare» immagini. Un suo ritratto era ambito. Nel carniere aveva mitici scatti: Malaparte al tavolo di lavoro che si ripara dall'obiettivo indossando una maschera; Marguerite Duras che svela la sua vera anima, quella di maestrina della penna rossa; la dentiera di Karen Blixen che emerge da una marea di rughe; Cocteau spalleggiato dalla governante; Malraux con l'aria da dittatore in cerca di un palazzo da sottomettere; Simone de Beauvoir nella II famoso «bacio» di Doisneau sua camicetta da infermiera; Jean-Paul Sartre in doppiopetto inchiodato al microfono e alla sigaretta. Con gli scrittori non voleva più barare. Cercava complicità. E ammetteva il fallimento quando non la trovava. Come nel caso di Montherlant. Non c'era simpatia, non ne nacque un'opera ispirata: «La sua fotografia soffre del fatto che io ero appena uscito dal parrucchiere», lo giustificò con una lettere il soggetto poco amato. E' vero, non barava più, ma prima di chiudere la sua carriera, davanti al giudice ha voluto svelare il suo segreto. Quarantadue anni dopo lo scatto leggendario del bacio, due coniugi parigini lo hanno denunciato per
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