«liberate il boss è un benefattore» di Fabio Albanese
Gli abitanti del rione Cep di Messina hanno circondato il tribunale in difesa di Iano Ferrara Gli abitanti del rione Cep di Messina hanno circondato il tribunale in difesa di Iano Ferrara «liberate il boss, è un benefattore» «Con lui regnava l'ordine» MESSINA NOSTRO SERVIZIO «Ma quale boss. E' un benefattore, è l'amico degli amici». Lacrime, rabbia, ma anche molta compostezza ieri mattina, davanti al Palazzo di giustizia, per quattrocento abitanti del villaggio Cep. A pochi metri da loro, dentro un'aula, il giudice delle udienze preliminari aveva convocato Iano Ferrara, 32 anni, accusato di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, decidendone poi il rinvio a giudizio. E loro, quelli del Cep, erano lì davanti proprio per lui. Niente strumenti di pressione contro i giudici, solo una muta presenza dietro le transenne che circondano il Palazzo di giustizia: «Non è un boss - ripetevano -, ha fatto tanto per questo quartiere dove non ci sono scippi, non ci sono furti, non bruciano le macchine e la droga non circola». Alla manifestazione di ieri c'erano perfino i familiari di Ferrara, la moglie, 4 fratelli e 2 sorelle. Perla giustizia, Iano Ferrara è un boss di prima grandezza. L'ultima grande accusa dei pentiti è quella di avere ordinato, come componente della cupola mafiosa, l'omicidio di Giuseppe Vento, boss del clan avversario, assassinato nell'estate del '92. E ieri il giudice Mondello ha deciso di rinviarlo a giudizio, per queste accuse. Ma per la gente del suo IN TONACA MESSINA ON Antonio Caizzone ha il piglio e l'aspetto del solito parroco di frontiera, abituato a vivere ed operare in un quartiere-ghetto, dove ogni cosa, ogni gesto, ha un preciso significato. «E' un buon prete», dicono i suoi parrocchiani. Per questo a nessuno di quelli del Cep, le dichiarazioni del mite don Antonio su Iano Ferrara suonano strane. Anzi. Per don Antonio ieri è stata la giornata della notorietà. Cameramen e giornalisti hanno preso «d'assalto» la parrocchia. Tutti volevano intervistare il «prete che difende il boss». Lui, seduto nella sua canonica, nella chiesa della Sacra Famiglia, pazientemente riceve tutti, e a tutti spiega perché il boss non è un boss, perché Iano Ferrara «è un bravo ragazzo». Davvero, padre, è convinto che Ferrara sia un bravo ragazzo? «E' cosciente di aver fatto degli errori, ma io inquadro la sua vicenda nella situazione dei primi anni di questo quartiere, Firenze, a Sollicciano un cartello delimita la zona riservata agli ammalati quartiere, il boss è e rimane un benefattore: «E' come se fosse mio figlio - diceva ieri mattina un anziano signore -, noi con lui stiamo tranquilli». Non ci sono atteggiamenti mafiosi dietro le parole di questi cittadini abbandonati che hanno trovato altrove quel che lo Stato non ha saputo dar loro. Ma proprio per questo, le loro parole sono ancora più inquietanti: «Ci manca un pezzo del nostro quartiere - era il commento di una distinta signora - e adesso ho paura, qui prima non succedeva mai niente perché Iano è un amico degli amici». Ma che cosa vuol dire «amico degli amici»? Al Cep spiegano che Iano Ferrara conosce tutti, rispetta tutti e a tutti dà una parola di conforto o un aiuto. E' un mito, Iano, per l'intero quartiere. Per questo, la sollevazione popolare ha il sapore di una sana protesta per un'ingiustizia subita. Ed ecco le centinaia di firme in fondo ad una petizione consegnata a un quotidiano locale, e le parole del parroco del quartiere, don Antonio Caizzone, che avverte: «Non facciamo che paghi più di quanto gli spetti, perché si è ravveduto da tempo. Ha già pagato molto in profonda interiore angoscia, in trepidazione insonne per i suoi familiari, in imbarazzo per aver riconosciuto i propri errori e in rimorso cocente nell'intimo della co¬ La preoccupazione degli amici e dei sostenitori del boss mafioso, che due collaboratori della giustizia accusano di decine di misfatti, è quella di vedere il loro idolo travolto dalle «farneticazioni dei pentiti, che aggiungono alla verità cose non vere». Per questo al Cep ora hanno paura: Iano Ferrara, comunque, garantiva il quieto vivere alle persone del quartiere dove è nato e cresciuto. Per questo hanno attaccato ai muri manifesti di solidarietà, per questo chiedono ai giudici di non calcare la mano. Il boss, dal canto suo, si gode l'affetto della sua gente e quell'applauso che lunedì scorso lo ha colto, all'uscita dal commissariato di polizia, in manette dopo due anni di latitanza. «Complimentatevi con gli agenti - ha urlato alla folla perché sono stati veramente bravi». Ieri pomeriggio, un'altra manifestazione spontanea, seppure con poca gente, ha avuto come scenario un altro quartiere ghetto, il villaggio Santo Bordonaro. A Palazzo di giustizia c'è chi guarda con preoccupazione a questi segnali, che potrebbero estendersi rapidamente anche in altre città, con il rischio concreto di delegittimare il ruolo dei pentiti di mafia. scienza». Fabio Albanese La manifestazione di protesta davanti al tribunale e a fianco il «boss» Sebastiano Ferrara
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