Da Enea a Merlino: la «Storia» medievale che sedusse Shakespeare

Da Enea a Merlino: la «Storia» medievale che sedusse Shakespeare Da Enea a Merlino: la «Storia» medievale che sedusse Shakespeare Geqffrey diMonmouth torna con Usuo libro di eroi, giganti e vermi sputafuoco DEPLORANDO la voga del realismo, Oscar Wilde rimpianse i tempi in cui i narratori invece di copiare la Ivita la inventavano attingendo Uberamente alla propria fantasia, e come esempio di bella creatività indicò (nel saggio paradossale La Decadenza della Menzogna) non solo i poeti, ma anche gli storici di una volta. Costoro «ci diedero divertenti invenzioni sotto forma di fatto, mentre il romanziere moderno ci regala fatti banali sotto la guida dell'invenzione»; una loro Usta sintetica proposta aU'ammirazione va da Erodoto - «che a buon diritto può essere chiamato "Padre delle Menzogne"» - a Tacito, Plinio, Marco Polo. Curiosamente però Wilde dimentica Geoffrey of Monmouth (1100?-1154), l'ecclesiastico gallese autore di una Historia Regum Britanniae in latino oggi eccellentemente tradotta e annotata da Italo Pin (ed. Studio Tesi) basata, disse, su un antichissimo libro in lingua britannica del quale nessuna traccia sopravvive. Questa Historia fu denunciata subito da eruditi contemporanei come una sfacciata serie di bugie, ma forse proprio per questo piacque immensamente, come attestano tanto l'enorme diffusione del lavorò, pervenutoci in più di duecento manoscritti, quanto lo sviluppo degli spunti ivi contenuti in un numero incalcolabile di opere successive. A Geoffrey attinsero i drammaturghi elisabettiani, dai pionieri SackvUle e Norton per la tragedia Gorboduc a Shakespeare per Re Lear e Cimbelino; ma questo è niente davanti alla diffusione europea che ebbe la saga di re Artù con la cosiddetta «matière de Bretagne», della quale Geoffrey fu praticamente l'inventore. Subito tradotta in francese e in versi come Roman de Brut, ì'Historia è la fonte di Chrétien de Troyes, Wolfram von Diego Novelli dedica un romanzo alla sua generazione: in anteprima una pagina condo a nessuno, che le sue liste fanno sognare - «Vennero i signori di nobili città: Morut, signore di Gloucester; Maurud, di Worcester; Anaraud, di Salisbury; Archal, di Kaerguien; Iugen da Leicester; Cursalem da Caicestria...». Oppure, quando Artù si rifiuta di pagare il tributo ai romani, al seguito del console Lucio Hiberio, «vennero subito i re: Epistrofo dei Greci, Mutensar degli Africani, Alifatima dalla Spagna, Irtacio dai Parti, Bocco dei Medi, Sertorio di Libia...». Sopra ho detto che il culmine del libro è il regno di Artù, immenso eroe nato quasi miracolosamente, il quale ammazza giganti e conquista mezza Europa, minacciando la stessa Roma, prima di essere tradito dall'infido Mordredo e dalla regina Ginevra; dopo la sua caduta i Britanni saranno ridotti alla mercé degli invasori sassoni, e solo un loro nucleo, fuggito nell'Armoricia (la Bretagna odierna) manterrà le tradizioni, in attesa di tempi migliori. L'altro personaggio centrale è Merlino, il mago alle cui profezie Geoffrey dedica un libro intero, nonché un'appendice - Detti di Merlino Silvestre - che però potrebbe riguardare un omonimo. Debitamente criptici, entrambi questi repertori di divinazioni, a metà strada fra il paganesimo e il cristianesimo che pure era la religione ufficiale, affascinano con i loro squarci di immagini da bestiario medievale «Accorrerà a volo il corvo con i nibbi e divorerà i corpi degli uccisi. Il gufo nidificherà sulle mura di Gloucester e nel suo nido sarà procreato un asino. Lo educherà il serpente di Malvern e lo indurrà a fare molti inganni (...). Sopraggiungerà (...) un verme dall'alito di fuoco, che brucerà gli alberi col vapore che emette. Usciranno da lui sette leoni sfigurati da teste di capri...». I cavalieri della Tavola rotonda, la saga bretone rielaborata da Chrétien de Troyes. In alto re Artù

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