«Non sappiamo parlare ai ragazzi»

«Non sappiamo parlare ai ragazzi» «Non sappiamo parlare ai ragazzi» Pintor ammette:per noi è ancora troppo difficile J^I^^&n^ potere d'attrazione esercitato oggi dalla destra nei confronti dei teen agers e dei giovani in generale. Per quanto perfezionista, cioè, Pintor riconosce l'inanità dello sforzo di investire energie sui piccoli lettori. Quegli altri, invece, sono entrati nel vento giovanile. La sinistra, in altre parole, è definitivamente divenuto un luogo di adulti. La destra, al contrario, s'espande e forse anche si sagoma tra le nuove e nuovissime generazioni: le nutre, le asseconda, le prenota. La questione, com'è ovvio, va al di là sia di Ambra che di Pintor e della stessa linea editoriale dei Manifesto, che pure è molto più «giovanilistica» di tantissimi altri quotidiani, con tanto di recenti puntate nello jovanottismo più esaltante ed esaltato. Piuttosto illustra, quel sintomatico scambio di lettere sull'eventuale pagina da riservarsi ai piccoli lettori, la fine di un ciclo e il più completo, ormai, rovesciamento di ruoli. Una ventina d'anni fa, e comunque in quel lasso di tempo sviluppatosi a ridosso del Sessantotto, era infatti la sinistra ad avere il giovani dalla sua. In particolare il pei, ma non solo: egemonia culturale e predominio organizzativo, movimenti giovanili trainanti, ampia forbice differenziale nel voto tra Camera e Senato. Erano i moderati, allora, giacché all'estrema destra il msi ha sempre saputo conservare un suo consistente zoccolo duro junior, erano i democristiani insomma a patire l'indifferenza giovanile e a imbarcarsi in improbabili, patetici tentativi di rincorsa. Il più sconfortante e a suo modo truffaldino dei quali fu l'istituzione, nel 1972, secondo governo Andreotti, di un «ministero per i problemi della gioventù» che venne in effetti affidato per meriti di corrente all'onorevole Italo Giulio Caiati, un pugliese pienotto, con i baffi, che si segnalò per la più totale e perfino proverbiale inesistenza. Erano più o meno gli anni nei quali, proprio come richiesto in questi giorni dal giovanissimo lettore del Manifesto, il direttore del Popolo Gianni Pasquarelli inaugurava sul quotidiano della de improbabili pagine per giovani e in tv, attorniato da ragazzi e ragazzi sorridenti, e Bartolo Ciccardini dipingeva con una bomboletta spray lo scudo crociato su un vetro trasparente. Ma ci voleva ben altro: era una fatica improba e affannosa, quella democristiana. Quando, nella seconda metà degli Anni Settanta arrivarono i primi ciellini, motivatissimi e anche coraggiosi, a piazza del Gesù li accolsero con il sollievo dell'«arrivano i nostri». A sinistra, intanto, si celebravano i trionfi del giovanilismo. A un certo punto, sulla base di calcoli elettorali, il professor Pasquino teorizzò che con il costante incremento di nuovi voti alla sinistra, l'alternativa sarebbe divenuta anagraficamente ineluttabile. I conteggi, beninteso, erano perfetti. Ma non tenevano conto delle imminenti de¬ ^ Nel 70 il pei di Berlinguer e adesso Berlusconi: così va il voto giovane lusioni della solidarietà andreottiana, del terrorismo, del «riflusso», dell'austerità. Il Settantasette fu l'inizio della fine. Così come s'erano infatuate di quel pei che Togliatti aveva plasmato, appunto, come «un ragazzo robusto e malizioso» (lui lo diceva in latino: puer robustus ac malitiosus), le masse giovanili si disaffezionarono o addirittura in certi casi si rivoltarono. A nulla valsero le visite non proprio amichevoli di Lama all'università di Roma, e nemmeno, anche se impiegati in tut-

Luoghi citati: Roma