DIO FA L'ALCHIMISTA

DIO FA L'ALCHIMISTA DIO FA L'ALCHIMISTA La nascita dell'universo secondo Ermete Trismegisto m TTRIBUITO a Ermete JB il «tre volte grandissiJBl ino» un altro framf H mento di cultura erB flt roetica - La pupillo S |H del mondo -, esso ci 1 Wi aiuta a percepire meEglio le dimensioni di S Ba quella vasta esperienJHaza mitico-religiosa collocabile nell'Egitto ellenizzato e sempre attiva, sebbene bibliograficamente mutila, nel pensiero medievale e moderno. Giovanni Filoramo che introduce, e illumina, il testo curato da Chiara Poltronieri, ravvisa tra molte seduzioni dottrinarie e risonanze poetiche, un aspetto a prima vista «eccentrico» nel clima iniziatico che di solito accompagna il Corpus Hermeticum: la pietà. Una pietà «convinta e originale, distinta da forme analoghe e coeve», intesa quale appassionata devozione e amore per la vita nel suo diverso manifestarsi, a un passo dall'esplicita pietà cristiana. E avverte: il Corpus Hermetìcum in generale e La pupilla del mondo (la Kore Kosmou) in particolare, sono da considerare non tanto, o non soltanto, saggi filosofici influenzati da forti correnti speculative, specie platoniche e neoplatoniche; o sinossi ispirate dal dio egizio della scrittura, Thoth, in cui trovare risposte oracolari agli interrogativi che tormentavano non pochi spiriti del periodo ellenistico; quanto significative testimonianze di una continua, drammatica ricerca del divino. Si deve a un paziente assemblatore del sapere antico, 0 bizantino Giovanni Stobeo, del V secolo, se oggi possiamo avvicinarci di qualche grado alla «pupilla» di Trismegisto e ascoltare il racconto di Iside al figlio Horus sulla nascita del cosmo. Una na¬ scita travagliata, «immotivata», col dio caparbio che agisce da alchimista nella sua bottega sperimentando nuove combinazioni di forze vaganti e che, dopo aver dato origine a un mondo greve, «inferiore», incapace per intrinseca natura di elevarsi alla Conoscenza, decide di offrirgli una possibilità di salvezza. Mediatore dell'atto di grazia sarà appunto Ermete, incaricato di scrivere i libri sacri della rivelazione e poi di occultarli prima di ritornare in cielo; un andirivieni, tuttavia, che risulterebbe assai crudele, quasi una beffa dell'Artefice, se Ermete, nel nascondere il dono che ha appena lasciato intravedere, non ne trasmettesse il senso al figlio perché questi a sua volta possa trasmetterlo oralmente a un ristretto numero di predestinati. E allorché il dio, meno insensibile alle sventure dei mortali, progetta un secondo intervento, una seconda emanazione, invierà sulla terra Iside e Osiride, la coppia salvifica =y destinata a rin¬ del cielo e dello splendore solenne della notte...». Più che nostalgico di remote grazie celesti, il lamento delle anime condannate a «incorporarsi» suona duro, cupo, claustrofobico, contro il verdetto dell'Artefice. Le meschine «gemevano alla stregua delle bestie nate selvagge che, da libere, dovranno subire un'insopportabile schiavitù». E una di esse leva acuta la sua voce: «Astri splendenti e luce intatta del Sole e della Luna, che cosa abbiamo commesso, noi infelici, di così mise- tracciare i libri sacri nascosti da Ermete e a renderli palesi, di modo che si compia il prodigioso salto dalla barbarie alla civiltà. E' perciò Iside che, all'inizio della Kore Kosmou, versa a Horus la dolce ambrosia, come per prepararlo a un lungo viaggio atemporale, e ricostruisce genesi e palingenesi a colpi di flashback. In quei giorni «figlio mio, il mondo informe sospirava colmo di angoscia e piangeva sulla bellezza e l'eterna durata del mondo superiore; e contemplando soffriva alla vista della bellezza «ìmpapilla del mondo», un classico dell'ermetismo: l'amore di Iside e lo «sdegno» dei quattro elementi la nostalgia delle anime e la missione dì Horus rabile? Quale colpa merita queste nostre pene...? Padrone e padre e creatore, se così rapidamente hai trascurato le tue opere, fissaci qualche confine, degnaci di qualche parola, sia pur breve, finché possiamo ancora gettare lo sguardo attraverso l'intero cosmo luminoso». Per bocca di Iside veniamo a sapere che, se non indulgenza piena, un parziale successo riescono a conseguirlo le supplicanti. Il padre e padrone risponde infatti con dosata misericordia: «Anime che servite il mio potere, sappiate che se le vostre imputazioni saranno di scarso rilievo, abbandonato il legame mortale della carne, potrete riabbracciare, senza più lacrime, il vostro cielo». Se però - tuona l'Artefice sarete responsabili di colpe più gravi, seguiterete a errare prigioniere. «E proprio io sarò il vostro custode e sorvegliante». Successo parziale, dunque, e ìemmeno condiviso dalla base riottosa; al punto che Ignoranza e Violenza riprendevano a domi¬ nare la scena cosmogonica ove «i forti bruciavano i deboli scagliando i vivi e persino i morti fuori dai templi». Tocca allora ai quattro Elementi costitutivi - Fuoco Aria Acqua Terra - presentarsi sdegnati al demiurgo e invocare drastiche leggi. E il Fuoco, nel mezzo delle sue incandescenze, si permette di suggerire «che gli uomini temano la vendetta degli dei, giacché nessuno oserebbe perseverare nel male». E l'Aria, soffiando gelida, confessa: «Sono resa torbida. Signore, e sono malsana a causa di nefaste esalazioni». E l'Acqua, con rancoroso fiotto: «Padre e creatore mirabile, ordina che siano limpide per sempre le correnti dei fiumi, poiché i fiumi e i mari o lavano gli assassini o ricevono i corpi degli assassinati». E infine la Terra, col pianto in gola: «Re e padrone, mi ritrovo ormai disonorata; gli uomini commettono ogni tipo di crimine. Sono inondata dai liquidi purulenti dei cadavari...». E aggiunge anch'essa i suoi voti perché si assista a una rigenerazione globale, i Pagine, queste, sugli Elementi j autoconvocati (insieme al com1 porsi dei segni zodiacali e all'apparire di Psychosis: sostanza lieve, diafana e potentissima che, brillando, sorride al suo creatore) tra le più vibranti del trattato (o non forse del «poemetto»?). E tali comunque - ha ragione Filoramo - da sollecitare umana .pietà ben oltre il fascino del logos ermetico. Giuseppe Cassieri Ermete Trismegisto La pupilla del mondo Marsilio pp. 100, L, 12.000

Luoghi citati: Egitto, Ermete