BINNI, IL RIBELLE

BINNI, IL RIBELLE BINNI, IL RIBELLE «Un pessimista rivoluzionario come il mio Leopardi» Escono i saggi che ne compendiano il metodo critico ria, quelli che vengono chiamati lune di miele dei popoli, è emersa la prima». E lui ha avuto la fortuna di vivere uno di quei momenti. Per questo è più duro il suo giudizio oggi. ((Alla Costituente c'erano persone con grandi differenze di idee, ma di quale altezza. Erano Pani, Terracini, Calamandrei, cattolici come Dossetti (ricordo lui per tutti). Se ripenso alla situazione di allora e al risultato che ne conseguì, confesso che mi viene una grande amarezza. Non si tratta solo di idee - che pure hanno la loro importanza - ma di costume morale, di apertura, di comprensione per tutto quello che ora ci viene mancando». Lui, da giovane ufficiale, era stato uno fra i più efficienti corrieri della cospirazione. Aveva aderito al movimento liberalsocialista di Capitini e Calogero, aveva tenuto comizi in tutta l'Umbria per conquistarsi un seggio nella prima assemblea repubblicana. Oggi vede un Paese «sopraffatto da associazioni segrete, mafia, intrecci con la politica; soprattutto da una ondata di liberismo selvaggio, contrastante con tutto quello che ha animato la migliore Italia: lo spirito di solidarietà, l'avanzamento dei valori umani». Confessa, lealmente: «Ci eravamo illusi». E che cosa può fare, in questa situazione, lo studioso di letteratura? «Di fronte a queste cose è molto importante continuare la nostra attività di scrittori e di critici. Certo, il nostro intervento è di valore condizionato. Ma io sono con Leopardi, il mio poeta e il mio maestro. L'ho sempre concepito come un pessimista ribelle, resistente a una realtà imposta. E io mi definisco un pessimista rivoluzionario, che vor- IROMA O che ho visto un'altra Italia», dice Walter Binni, a riassumere in sette parole la sua tristezza di oggi. Ma, insieme, «io vecchio pessimista leopardiano che non si arrende», aggiunge, per dichiarare, in altre sette parole, la sua volontà di sempre. Il grande studioso di letteratura, uno fra gh ultimi maestri del nostro Novecento, ha compiuto da poco gli 80 anni; e ha raccolto, in un libro, i saggi che compendiano il suo metodo critico. Poetica, critica e storia letteraria, uscito dall'editore fiorentino «Le lettere» (pp. 260, L. 40.000) è la summa di un pensiero che ci ha insegnato a leggere in modo nuovo il testo letterario, collegando sempre il valore della poesia a quello della storia e della realtà, attraverso il filtro, per Binni decisivo, della ((poetica». Nella sua casa romana vive circondato da 35 mila libri, testimoni di un lavoro cominciato a metà degli Anni 30 e in corso ancora oggi. Ma non ci sono solo gli studi, nella vita del professore perugino. La critica è un punto d'arrivo, di una esistenza che si è spesa subito in prima linea, nei movimenti antifascisti clandestini, poi nella lotta politica del primo dopoguerra, come deputato alla Costituente per il partito socialista. E lo studioso di Foscolo e di Leopardi non può non riandare, con la memoria, all'Italia di allora, la sua, così diversa dalla attuale. «Forse nel nostro Paese è vissuta sempre una doppia Italia. Ce n'è stata una nobile, minoritaria. E poi ce n'è una cinica, conformista, arrampicatrice, rotta a ogni corruzione. Solo in rari momenti della sto¬ EN lungo elenco di birrerie e sbronze; un'ode appassionata all'amicizia, all'arte, alla vita; una cronaca di liti furibonde e di subitanee rappacificazioni. In «Un tenero barbaro» (e/o, pp. 130, L. 24.000, trad. di Annalisa Cosentino) Bohumil Hrabal rievoca il sodalizio con il poeta Egon Bondy e con Vladimir Boundnik, artista e operaio, inventore dell'esplosionalismo. Lunedì Hrabal compie ottant'anni e verrà festeggiato, come al solito, con fiumi di birra e allegre mangiate. L'editore Prazska Imaginace, come regalo, ha stampato una lunga conversazione tra lo scrittore e un gruppo di amici avvenuta tra i tavoli del ristorante Hainek. Ne pubblichiamo qui alcuni brani. IE è mai capitato di trovarsi in mezzo a una bella rissa di birreria, visto che in birreria ci capita sovente? «Ho visto tanti zingari che facevano a botte. Ma era tutta scena, sembrava che ci fossero quattro morti e invece tagliavano solo un pezzetto di mano a qualcuno. Volava qualche coltellata. Nelle risse ogni volta che ho voluto fare a botte, ne ho sempre prese un sacco. Volevo fare a botte una volta dai Vocilek e una volta dagli Smelhauz, cioè al Narcis, e prima di capire cosa succedeva ho rimediato un pugno fortissimo. Una signora alla toilette mi ha aperto il rubinetto e io ero lì che mi bagnavo il naso. Ho le ossa fragili... Anche a calcio mi sono rotto un braccio da qualche parte, addirittura due volte, ero tutto una frattura. Ero sempre un po' - e questo era l'effetto di Arthur Schopenhauer - ero sempre un po' fra le nuvole, ... mentre adesso sono diventato un sedentario, per via del fisico... lavoravo volentieri, stavo nei miei giardini, mi piaceva l'aria aperta, mi faceva bene... A Kladno era bellissimo, c'era l'operaio che caricava il mangano e il mi- Bohumil Hrabal: e/o pubblica Usuo «Un tenero barbaro» attraversa l'Europa non so da quanti secoli, in maniera sempre ritmica, e così ha beccato pure noi». E la sua amicizia con Egon Bondy? «Ci sono stati tempi in cui eravamo come due fratelli di sangue, abbiamo addirittura ripristinato una specie di... è stata una trovata di Bondy, voleva rifare una specie di struttura sociale come nel primo feudalesimo, il rinascimento ottoniano, nerale, e lì vicino due cretini, come ero io, uno accanto all'altro ... Hegel che aleggia nell'aria e intanto si carica. E si racconta... tanto lo sapete com'è che le fondamenta sono volate in alto dopo il 1948 e i soffitti sono precipitati giù. I ricchi di un tempo andavano a Kladno a lavorare, e i poveri, ora mettevano i timbri e le firme. Ed erano loro a decidere se potevate fare un viaggio oppure no. Però questo è il destino, è un processo sociale che Walter Binni fra gli ultimi maestri del nostro '900 Accanto: Leopardi Nella casa romana vive circondato da 35 mila libri, testimoni dì un lungo magistero rebbe trasformare questa realtà». Walter Binni è pessimista rivoluzionario da 60 anni. Il suo primo libro, sul decadentismo, è del 1936, e oggi sta ancora lavorando sui suoi autori, fra Sette e Ottocento. Quanta politica, quanta vita ha travasato nel suo lavoro di critico? «Ho portato nella critica tutti i fermenti della mia vita, non le ho separate mai. Credo di avere capito molti poeti, da Ariosto a Montale, rivivendoli, attraverso la mia esperienza. Se ho avvicinato tanto Leopardi è perché lo sentivo personalmente. I temi supremi della vita e della scomparsa degli esseri cari, della caducità, della transitorietà, io li avevo vissuti nella mia adolescenza: e l'incontro con Leopardi me li ha chiariti». Decisivo, nella sua formazione, fu un verso di Michelstaedter, che un professore di Perugia gli lesse durante il liceo: «Il porto è la furia del mare». «Mi colpì quel verso, do. Dall'altra parte i mass media chiedono forme più frivole, la recensione dei giornali resta spesso alla superficie, non si entra nel merito. C'è anche parecchio dilettantismo. Guido Almansi ha scritto un saggio su "A Silvia" interpretando le "opere femminili" come una masturbazione. E all'Università di Venezia chiamano Brass a tenere lezioni di pornografia. Non faccio del moralismo, è questione di gusto. Ma sono forme aberranti. Sono le frange di un clima che ha i suoi centri più prorompenti altrove». Oggi la polemica si è spostata sulle stroncature. Si è sparato da parte cattolica su Arbasino, Tabucchi, c'è stata una contro-sollevazione. Come reagisce Binni? «Sono forme di un estremismo fanatico. Si può essere cattolici e civili. Questa è una forma di inciviltà. Da una parte si dice che non ci sono più le ideologie, dall'altra che mi faceva sentire la poesia come inquietudine, movimento continuo, non rasserenante. La serenità, per me, ha scarso significato poetico, se non implica qualcosa di drammatico, di conflittuale. Croce sosteneva l'amore per l'armonia cosmica. Io sono portato a oppormi. Ogni critico ha una sua poetica - altrimenti non sarebbe un critico - e la nùa è di tipo tragico». Ma Binni ha iniziato a operare in una società dove la parola del critico trovava ascolto. Oggi lo spazio per la critica oggi si va riducendo, dappertutto, come lo spazio per la letteratura. La colpa è solo dei mass media o ci sono anche responsabilità dei critici, in questo? «Sì, ci sono. Una parte della critica è diventata troppo accademica, tecnicistica; non c'è più il respiro dei Momigliano, dei Russo, non si sanno dare interpretazioni di fon¬

Luoghi citati: Europa, Italia, Perugia, Umbria