Cimbri i guerrieri vivono ancora

Un museo in Veneto: Rigoni Stern racconta i suoi «antenati» germanici Un museo in Veneto: Rigoni Stern racconta i suoi «antenati» germanici Cimbri, i guerrieri vivono ancora La furia dei «barbari» si fermò sull'Adige I TBTJ ASIAGO A ON mi ritengo uno stori■ co che ricerca nei testi 1 antichi o nei documenti I—*■ 11 degli archivi, mi accontento di essere solamente un narratore della mia terra montanara, ma ogni tanto mi arriva con la posta una lettera o un plico, o trovo un libro che mi richiamano all'origine della popolazione che vive su questo altipiano e che, a ragione o a torto, veniva detta «cimbra». Persino dalla Spagna l'altro giorno un lettore mi ha mandato fotocopia di alcune pagine di un libro di cui, purtroppo, non si capisce l'autore e il titolo. Dalla grafica e dallo stile lo presumo stampato attorno al Settecento. Mezzi nudi giù dai monti Si legge che i Cimbri, dopo essere stati sconfitti da Cajo Mario ai Campi Raudi, passarono le Alpi dalle parti della Gallia e da lì presero la strada per la Baviera e l'Austria e: «...rumate quelle province, ed ucciso èneo Carbone, che da Catulo era stato posto a guardia de' quei passi della Baviera, erano giunti alle Alpi di Trento, come scrive Lucio Floro, ove si trovava la stesso Catulo, il quale avea già fortificato tutte le strade, che riuscivano nel Veronese, nel Vicentino e nel Bassanese, dove avea designato di raffrenare l'impeto de' nemici. Ma tanta fu l'audacia, e l'animo de' quei Barbari, che con gran forza ascesi nella sommità de' monti carichi di neve e di ghiacci, nella maggior forza del freddo, mezzo ignudi, postisi sopra gli scudi, che erano larghi e grandi, e lasciandosi sdrucciolare giù per quelle rupi, e per quei precipizj, passarono di qua, e si fermarono con tutto il campo vicino al fiume Adige». Con il loro impeto distruggono le difese e «...Questa inusitata fortezza, e quasi che bestialità, veduta da' soldati Romani, eccitò in loro sì grande spavento, che abbandonati gli alloggiamenti, e la guardia de' passi, si diedero vergognosamente alla fuga». I Cimbri arrivano così nella pianura veneta, ma l'aria mite che trovano al di qua delle Alpi, l'uso del pane, delle carni cotte, la dolcezza del vino, l'abbondanza e la varietà della frutta ammansirono e mitigarono il desiderio di conquista delle terre poste più a Sud, che non proseguirono oltre. Ma in una piena estate Mario e Catulo li sorprendono e danno battaglia in campo aperto. Il caldo ha fiaccato i nordici Cimbri. I guerrieri ripiegano verso gli alloggiamenti ma qui trovano ancora gagliarda resistenza perché le loro donne, vedendo così vergognosa ritirata, prendono le armi e li aggrediscono gridando alta la vergogna. Non rispettano nessuno: né mariti, né figli, né fratelli. Si dice che queste fierissime donne cimbre si fortificarono e si difesero valorosamente dai Romani, e che piuttosto di cadere schiave preferirono togliersi la vita dopo aver ucciso i loro figlioletti. Alla fine l'ignoto autore di questo libro scrive: «E' comune opinione, che quei pochi Cimbri, che vivi scamparono a tanta strage, si riconducessero a questi nostri monti, ove ora sono i Sette Comuni; ed ivi nascondendosi, e salvandosi in quei valloni, e in quelle altissime selve, vi si fermassero, fatto disegno di non tornar più a ca¬ sa, e talmente vi s'annidarono, che ancor oggidì vi sono i loro posteri, i quali con il linguaggio, che non è né Italiano, né Tedesco, danno per certo indizio della loro origine». Considero tutto questo più leggenda che storia, anche se in un atlante leggo in una carta che si riferisce agli anni 133-79 a.C. - il segno di una migrazione cimbrica che, passate le Alpi, si ferma proprio tra le montagne dei Sette Comuni. Sembra sia stato Antonio Marzaglia, un letterato veronese del XIV Secolo, il primo a fare particolare attenzione alla nostra gente, ritenendola una «reliquia» dei Cimbri. Questa opinione fu recepita dai letterati vicentini che nei secoli successivi restavano stupiti e ammirati da questa gente che qualche volta scendeva nella loro città per qualche commercio: l'aspetto alto e forte, la selvatichezza, la lingua che parlavano, la loro fierezza e il disprezzo per le cose mondane li facevano apparire ai loro occhi se non altro che «Cimbri». Dell'origine della nostra gente se ne è quindi discusso per secoli, e ancora oggi si continuano a fare ipotesi e illazioni. In questi ultimi anni, ma anche sul finire dell'Ottocento, specialmente da Oltralpe e forse per ragioni nazionalistiche, ci si sforza a far credere che gli abitanti di queste montagne, dei Tredici Comuni veronesi e dei confinanti Comuni trentini, siano qui giunti dalla Baviera attorno al XIII Secolo, e questo a seguito di emigrazioni promosse dai vescovi che allora governavano. Da parte mia non condivido questa opinione, almeno per quanto riguarda i Sette Comuni, per alcune ragioni che spiego in poche righe: ci sono i resti del villaggio celtico del Bostel, in Comune di Rotzo, e i reperti colà ritrovati che ci riportano al tempo in cui i Reti popolavano le Alpi centrali. A questi reperti, poi, si aggiungono i segni dei graffiti della Asstal che da epoca preistorica arrivano alla paleocristiana e a quella longobarda. La grotta delle fate A queste tracce ben riscontrabili dobbiamo aggiungere la toponomastica che ha precisi riferimenti alla mitologia nordica. Abbiamo un posto, sul fianco destro della Asstal, che è la Kovola Seilgen Waiblen: la Grotta delle beate fanciulle, ossia delle fate; e poco lontano, a sovrastare la valle dell'Astico, la Oster-Steela: la Rupe di Osterà (Osterà è una antica divinità nordica); e poi la Martal: la valle dello spirito maligno, Mara, che in Scandinavia soffoca e uccide nel sonno; abbiamo Kan Schon Oaken, Alle belle querce, e, presso queste, la Stalecke, la Quercia sacra. A Freya era dedicata la Freyental oggi chiamata Val Frenzela, e la vetta più alta delle nostre montagne: Freyajoch, che poi divenne Ferrozzo e ora Cima XII. Molti erano anche i monti dedicati a Thor, diventati poi Toro (un Thor-alle, Toro piccolo, sulle carte è diventato Monte Torino'.). Questo è un piccolo saggio della nostra remota lingua: è l'inizio del Padre nostro come si trova scritto nel catechismo del Bellarmino, stampato nel 1602: Vater unzar der do pist in die Hìmmele I Geàileghet wer dai Namo / Zu kem dain Raik /...E questo è un proverbio come lo trascrisse un mio bisnonno materno: Bear steht aupame Maahn, I dear ist hòrtan an braber man: Chi si alza con la luna è sempre un brav'uomo. Un germanista contemporaneo, Alfonso Bellotto, asserisce che «le antichità di centinaia di forme presso sostantivi e aggettivi, nonché l'autonomia di evoluzioni verbali (condizionale) ed altro ancora relativo al rapporto col campo neolatino, sono per una datazione precedente al Mille». Ma a cancellare tracce, costumi e anche lingua è stata la Prima Guerra Mondiale che sconvolse le nostre contrade e disperse per l'Italia, profughi e disperati, tutti gli abitanti. E quello che non ha fatto la Grande Guerra lo hanno completato i mezzi di informazione di massa. A noi vecchi solamente qualche antica parola sale ogni tanto dal profondo della memoria, come una bolla d'aria dal mare. Mario Rigoni Stern Scesero dalle Alpi scivolando sulla neve sopra gli scudi. Il caldo e le dolcezze d'Italia li fiaccarono, Mario ne fece strage. Ma l'eco della lingua rimane sull'Altipiano A Roana, sull'Altopiano dei Sette Comuni (in provincia di Vicenza), è stato da poco allestito un museo dedicato alla cultura e alla tradizione dei Cimbri: i superstiti di questa popolazione germanica dopo epiche battaglie con i Romani si insediarono in varie zone delle Prealpi Venete e Tridentine. L'iniziativa è stata realizzata grazie alla Regione Veneto, che si è detta disposta a proteggere questa piccola e gloriosa minoranza etnica. La lingua dei cimbri sopravvive a stento: oggi e parlata da non più di 400 persone, nella Lessinia e a Luserna. , è iopo lle lla a e to: na. ior di, raosi ruroon me dista che ati nde gli de' salla ite pi, alUn elmo barbarico ritrovato nel Meno Kostheim (museo Magonza) Osteè udividicaMarvallspirito maligno, Ma Un elmo barbarico ritrovato nel Meno Kostheim (museo Magonza)