Lo scrittore è morto a Parigi, a 85 anni. Il suo ultimo messaggio: «Sono senza fiato, in fondo alla corsa» IONESCO il signore dell'assurdo di Gabriella Bosco

Lo scrittore è morto a Parigi, a 85 anni. Il suo ultimo messaggio: «Sono senza fiato, in fondo alla corsa» Lo scrittore è morto a Parigi, a 85 anni. Il suo ultimo messaggio: «Sono senza fiato, in fondo alla corsa» IONESCO dell'assurdo wl PARIGI I L grande drammaturgo EuI gene Ionesco è morto ieri I pomeriggio in un ospedale I *l parigino. Aveva 85 anni. A dare la notizia è stata la figlia Marie-France, poche parole, senza specificare causa e modalità del decesso. Como aveva deciso di fare sin dall'inizio della malattia del padre, qualche anno fa, MarieFrance ha voluto proteggere fino in fondo la dignità del grande uomo che il piccolo Eugène, nella vecchiaia sempre più piccolo, è stato. Non scriveva quasi più, ma qualche mese fa, all'inizio di ottobre, aveva voluto farlo un'ultima volta. Sul Figaro liuéraìre, aveva parlato della dolorosa condizione di chi sente le proprie facoltà mentali lentamente degradarsi. Con un supremo sforzo, conscio di essere arrivato a una soglia di non ritorno, aveva scritto dell'ingiustizia della condizione umana, delle mani che si attorcigliano, delle gambe che non reggono più, del pensiero che inesorabilmente si accorcia, diventa imprendibile bagliore. Aveva raccontato con tenerezza e tristezza insieme di come lui e la moglie Rodica erano ormai trasformati in figli della loro figlia, dell'infinito amore ma doloroso e disperato proprio di quella volontà di MarieFrance di non lasciar trapelare «la crudele verità della vecchiaia», la ricerca di medici sempre migliori, inutile ricerca. «Si accanisce a farmi vivere», scriveva Ionesco, quasi a indicarle così di smettere, a ricordarle che la sofferenza, molto più ancora quella psicologica di quella fisica, a un certo punto deve finire, per quanto ingiusto e crudele ciò possa sembrare. «Che Lui esista o non esista, in ogni modo bisognerà chiedergli che ci renda conto» aveva anche scritto, gli pareva «inaccettabile» l'inversione dei ruoli, questa legge della vita che come ogni legge non si può che prendere com'è. Ma si può urlarle contro, e questo Ionesco in quell'ultima pagina aveva voluto fare. «E' molto corto ciò che penso, è vero ma è corto. Non riesco a dire o inventare altro. Sono come un corridore di fondo arrivato senza fiato in fondo alla corsa». Un addio struggente, a tratti feroce nella sua sincerità e però anche, soprattutto, coraggioso. Di chi non teme il giudizio altrui, neppure forse quello di Dio che pure Ionesco continuava instancabilmente a cercare. Un ritratto, quell'ultima pagina, di ciò che il grande drammaturgo era in realtà sempre stato. Insolente e affettuoso, intellettualmente indocile e umanamente tenerissimo. Pesante e leggero insieme, sotto terra e sopra il cielo, gli piaceva dire. Forse, diceva anche, perle sue doppie origini. Rumeno, nato a Slatina, aveva trascorso gli anni formativi della fanciullezza in Francia, a La Chapellc Anthenaise, essendo la madre francese. Un'epoca rimasta per lui magica, origine e serbatoio per la, sua parte aerea, scherzosa, scanzonata. Era poi tornato in Romania per studiare, lì era diventato professore di francese ed era riuscito a ottenere dal Ministero dell'Istruzione una borsa per recarsi a Parigi a redigere una tesi sui temi del peccato e della morte nella poesia post-baudelairiana. Tesi che li nesco neppure cominciò ma eh" ócrvì da buon alibi per rimaTi ~.ie indeterminatamente a Parigi. Romeno nell'anima, con tutto il peso della triste condizione del suo Paese sempre presente ad ancorarlo a terra, a trascinarlo sotto terra, ma francese di volontà, di beffarda, irriverente, scardinatrice volontà. Tanto da divenire, lui così ostile alle cerimonie e alle formalità, Accademico di Francia (nel 1970). Fierissimo di esserlo oltreché molto divertito dal ridicolo aspetto di se stesso in uniforme verde con fogliami dorati e spadino. Non era più giovanissimo quando sfornò quel primo testo teatrale, la. cantatrìce calva (1950), che lo lanciò come il creatore dell'assurdo. A furia di vedersi indicato negli articoli di giornale come rappresentante della giovane generazione di drammaturghi che stavano rivoluzionando il modo di fare teatro (poi con qualche suo fastidio perennemente associato a Beckett e Adamov), decise in quell'occasione di togliersi tre anni. Nato nel 1909, gli sembrò che avere più di quarantanni come giovane drammaturgo non fosse dignitoso. Cominciò a dire che era nato nel 1912, data che sempre è stata presa per buona e che oggi stesso la maggior parte dei necrologi puntualmente riporta. La cantatrìce calva era ispirato all'assurdità dei dialoghi contenuti in un manuale di conversazione per l'apprendimento della lingua inglese. I personaggi si parlavano l'un l'altro attraverso luoghi comuni, cosicché il linguaggio perdeva valore comunicativo svuotandosi di ogni significato. Era una farsa ma tragica, duplice connotazione alla base di tutto il teatro di Ionesco di quegli anni, in cui lo scardinamento del linguaggio era sempre accompagnato da un altro fenomeno assurdo che del primo era simbolo, la proliferazione degli oggetti sulla scena. Venne poi, con il riconoscimento ufficiale, l'angoscia più grande. Io¬ nesco raccontava spesso nella sua ultima stagione di come l'impegno, la responsabilità civile di chi scrive fossero stati per lui un assillo: necessari ma limitati, se privi della possibilità del trascendimento. Rinoceronte, ad esempio, pièce spesso strumentalizzata politicamente, voleva essere per lui soprattutto riflessione contro il fanatismo scisso da precisi contesti, benché i riferimenti storici fossero chiari e indispensabili. A posteriori, Ionesco si rammaricava un po' di essere stato a suo avviso frainteso, «che la gente» ci disse in una delle ultime visite che potemmo fargli, «non avesse colto 0 vero tema del teatro dell'assurdo: la ricerca dell'assoluto». «La verità è insolita, incomprensibile, illogica, al limite indicibile» disse in quell'occasione. «Come avrei potuto essere realista? Ho sempre cercato di andare oltre, il problema è che non sempre ci sono riuscito», lamentava. Con l'amarezza di chi, soprattutto negli ultimi scritti, aveva messo grande impegno nel tentativo di arrivare a una certezza, e non ce l'aveva fatta se non per brevissimi sprazzi. Brevi quanto quelle ultime frasi che gli fu concesso di mettere insieme nell'ottobre scorso, frammenti di un discorso forzosamente interrotto. A Eugène Ionesco il Teatro Stabile di Torino dedicherà un omaggio: lunedì 11 aprile, al Carignano, verrà presentato il Teatro completo edito da Einaudi-Gallimard (Bibl. della Plèiade), e poi, a collage, evocati brani e personaggi dell'universo del drammaturgo. Gabriella Bosco La sua «Cantatrìce calva» rivoluzionò il teatro Da Bucarest all'Accademia di Francia un grande pessimista in polemica con l'eternità

Persone citate: Beckett, Einaudi, Ionesco, Marie-france