Sulle tracce del cervello perduto di Einstein di F. Gal.

Sulle tracce del cervello perduto di Einstein L'uomo, che era presente all'esame necroscopico, assicura che è quello vero e ne «regala» pezzi Sulle tracce del cervello perduto di Einstein Sparito durante l'autopsia, la Ebe lo trova in casa di un americano LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' davvero il cervello di Einstein? Thomas Harvey, 80 anni, lo mostra nel suo modesto appartamento di Lawrence, nel Kansas. E' contenuto, in un bagno di formaldeide, in due vasi di plastica, a loro volta custoditi in una scatola di cartone abbandonata sul pavimento. Ma è davvero il cervello più illustre del secolo? Una risposta sicura, forse, non verrà mai. Ma Kevin Hull, autore del documentario che la Bbc manderà in onda venerdì, non esclude che quella materia grigia, degna semmai di un museo o di un laboratorio, possa essere davvero quello che Harvey dice. Guarda il calendario: «No, non è un pesce d'aprile». Quando i resti di Einstein furono cremati nel 1955, in effetti, il cervello e gli occhi mancavano. Erano scomparsi, strana¬ mente e alquanto misteriosamente, durante l'autopsia, svolta all'ospedale dell'università di Princeton. A confermarlo fu, già allora, l'oculista di Einstein, il dottor Harry Abrams. Harvey era una delle venti persone che vi presero parte. Fu davvero lui a sottrarre la preziosa reliquia? Resta il fatto che uno dei medici presenti all'autopsia, rintracciato da Kevin Hull, conferma che fu Harvey a prendere il cervello, ma che poi l'avrebbe perso - dopo averne inviati 10 o 15 campioni ad altri studiosi - e l'avrebbe sostituito con un altro cervello. Davanti alle telecamere, come se fosse ordinaria amministrazione, Harvey non ha esitato a tagliarne una striscia con un temperino, offrendola allo studioso giapponese - il professor Kenju Sugimoto - che ha assistito Hull nella ricerca del cervello perduto. Crederci? Non crederci? Tut¬ to è possibile. Harvey sostiene che persino la famiglia di Einstein, quando scoprì che il cervello dello scienziato era in suo possesso, diede il suo benestare, a condizione che servisse per studi scientifici e che la sua esistenza rimanesse segreta. Per questo Harvey ne parla soltanto ora: quel cervello, dice, è stata la fonte di mille sventure. Racconta di essere stato licenziato dall'ospedale di Princeton, di essere stato espulso dall'ordine dei medici, di essere stato abbandonato da tutte e tre le sue mogli, di essere costretto - vecchio e acciaccato - a sbarcare il lunario lavorando come operaio in una fabbrica di plastica. Eppure una serie di semplici test dovrebbe essere sufficiente a risolvere il piccolo giallo. Harvey, infatti, non è l'unico a sostenere di avere materia grigia di Einstein. Altri, come il professor Marion Diamond di Berkeley, in California, affermano di averne un campione. Basterebbe metterli a confronto e, se diversi, si ridurrebbe il numero dei contendenti. I laboratori d'oggi, però, offrono altro. E' ben vero che tutte le schede mediche dello scienziato sono scomparse, ma è sempre possibile un esame genetico del Dna. C'è la nipote Evelyn, per esempio, che potrebbe servire da metro di paragone (ammesso, però, che sia davvero una sua discendente e non, come dice qualcuno, adottata). E' una porta improvvisamente spalancata su incredibili retroscena. Come è potuto accadere? Perché nessuno era mai riuscito a scoprire la verità? E adesso che cosa accadrà a quei due vasi di materia grigia? Thomas Harvey non sembra avere alcuna intenzione di rinunciare alla reliquia: resterà ancora per anni in quella polverosa scatola di cartone? [f. gal.]

Luoghi citati: Berkeley, California, Kansas, Londra