Scocca l'ora del «radical choc» di Pierluigi Battista

Scocca Poro del «radicai choc Scocca Poro del «radicai choc » Gelo e delusione tra gli intellettuali di sinistra SALOTTI IN LUTTO IROMA L gelo. La catastrofe. Lo sgomento. Le illusioni perdute, per capirci: lo champagnino che resta chiuso nel frigorifero, la tartina che rimane nel gozzo, la bestemmia strozzata in gola. E poi «io me ne vado da questo Paese di merda», e poi «tenetevelo il vostro Berlusconi». Aria da tragedia, nei rifugi progressisti, in queste dieci della sera. Facce da funerale, silenzio attonito, sguardi di intesa disperata nei salotti della sinistra che detesta Berlusconi, che freme di disgusto davanti a tutte le manifestazioni dello stile di vita Fininvest, «volgare», «pacchiano», «plastificato». E che rimugina, mentre le televisioni snocciolano i dati terrificanti degli exit poli, sulla grande occasione perduta. Che atmosfera diversa, soltanto quattro mesi fa, con i trionfi progressisti nelle elezioni per il sindaco. «Ha vinto il peggiore dei mondi possibili», si sibila davanti alla tv accesa nella casa romana di Laura Betti. Ha vinto il Demonio. Musi lunghi, imprecazioni apocalittiche. Tocca alla giovane italianista fragile, impaurita, sinceramente convinta che da domani ci sarà davvero da rimpiangere la vecchia ma rassicurante Italia democristiana dare un tocco di vulnerabile dolcezza con una confessione che non è una battuta ma che ha l'effetto di svelenire un'atmosfera intossicata di risentimento e di delusione scorata: «Per fortuna che domani mattina ho già l'appuntamento con lo psicanalista. Potrò raccontargli gli incubi di stanotte». E così, redarguiti nei giorni scorsi da Grazia Cherchi che diceva di non voler sentir parlare di fughe e defezioni, gli intellet- tuali di sinistra che un po' per celia un po' per non morire continuavano a urne aperte il ritornello dell'«io vado in esilio», gradualmente hanno cominciato ad assorbire la botta (e che botta) e a seguire i consigli di chi esorta a non mollare, a resistere, a sperare in un'altra volta. Stefano Rodotà, per esempio, invita i suoi amici di piantarla di «piangersi addosso». Lui lo champagne con cui brindare alla vittoria dei progressisti non l'aveva mica messo da parte: «Sono un meridionale superstizioso, non preparo i festeggiamenti in anticipo». Ma a parte il gesto scaramantico, Rodotà davvero si dice tutt'altro che sorpreso dalla piega presa da questi risultati: «l'avevo detto. Gli Anni Ottanta non sono passati come acqua sul marmo». Ed ecco Rodotà rispondere con ponderazione e razionalità ai progressisti che maledicono l'elettorato sordo e ingrato: «Sono anni che andiamo parlando di mutazione genetica, di cambiamenti antropologici profondi della società italiana toccati solo marginalmente da Tangentopoli. E adesso dovrei sorprendermi se in Italia vince un nuovo soggetto politico nato da una costola della televisione?». No, Rodotà non si stupisce. Ma altri esponenti della cultura di sinistra, lo sguardo fisso sul video che sciorina dati su dati e tutti negativi, sembrano lontani anni di luce da chi, come il filosofo Sebastiano Maffettone, soltanto alla vigilia di queste elezioni si divertiva a épater le progressiste asserragliato nei salotti dichiarando per scherzo che avrebbe votato il Centro («Martinazzoli, però, mica Segni». Ora non si scherza più. Dopo le prime maledizioni si sente il bisogno di meditare. «Non parlerò di queste elezioni prima di una settimana», confessa per esempio Alberto Asor Rosa: «Nel frattem¬ po vado in vacanza». Se ne riparla dopo Pasqua, a mente sgombra e quando si sarà attutito l'impatto traumatico di questi risultati. Quando, come dice uno dei componenti più spiritosi di un salotto milanese, verrà superato il terribile effetto del «radical-choc»: gioco di parole un po' assassino in questo momento di lutto per le terrazze che Montanelli (quando era «cattivo») definiva «radicalchic» ma che riassume uno stato d'animo davvero diffuso nell'atmosfera funerea che appesta i salotti di sinistra travolti dall'onda berlusconiana. Più sornione Giampaolo Pansa, il condirettore dell'Espresso che in televisione commenta i risultati dal palcoscenico di Santoro ma che invece esprime con una battuta incisiva quello che sarebbe il suo segreto desiderio: «Preferirei andare a dormire». Per ritemprarsi, però, e non per fuggire nel mondo dei sogni: «Io non me ne vado da nessuna parte. Non mi fanno paura questi qui. Vuol i dire che ricominceremo con la battaglia contro il Berlusca». Promesso. E anche Giacomo Marramao, che ieri sera ha tradito il salotto di casa Betti per andare a commentare i risultati alla televisione spagnola, promette di «combattere il catastrofismo che sento in giro». «Ha avuto ragione Bobbio», spiega Marramao agli amici progressisti, «che con la sua consueta onestà intellettuale ha riconosciuto che è stata la destra ha dare un segnale più accentuato di cambiamento. Mentre tra i progressisti non si sono viste molte novità, né nei volti, né nelle idee». E mentre il salotto progressista entra in lutto, Marramao indica ai più desolati la prima norma del decalogo dello sconfitto che sa perdere: «Non parlare di questo voto come il frutto di una scellerata inesattezza». Facile, a predicarsi. E bastasse una bella dormita a scacciare i fantasmi della più brutta serata elettorale della vita. Pierluigi Battista Rodotà: «L'avevo detto io, non sottovalutate gli Anni 80» Marramao: perdere con dignità Alberto Asor Rosa (sopra), A destra Stefano Rodotà A destra Giacomo Marramao

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