novità nella musica? Sono rimpasti della storia

novità nella musica? Sono rimpasti della storia e DISCHI novità nella musica? Sono rimpasti della storia E c'è una parola abusata e stravolta in questi tempi, questa è l'aggettivo «nuovo». Tralasciando per noia il caso legato al trasformismo della politica italiana, anche nei territori della creatività troppo spesso si appiccica questo aggettivo a piccole idee. Le quali qualche elemento di novità portano con sé, magari sono anche di qualità, ma non trasmettono un netto senso di originalità che dovrebbe essere presente quando si usa l'etichetta «nuovo». Da sempre il rock cerca di spostare in avanti i propri confini, però da alcuni anni fatica a imboccare strade e itinerari inediti. Resta vivo il ribellismo e la protesta ma si continua a rimpastare pezzi di storia più o meno recente, esperienze che le nuove generazioni possono rivivere con il dovuto adattamento. Proprio andando a curiosare tra le novità discografiche ci si accorge che la situazione si ripete. Nella fase post-grunge giungono da Seattle i Soundgarden. Un bel nome che fa immaginare un giardino, invece qui spunta l'ironia. Quella amara. Sì, perché i quattro giovanotti americani continuano ad esprimere il malessere generazionale, un radicalismo che scava solchi di rifiuti. Comunque non parlano al vuoto, se già con il precedente album «Badmotorfinger» avevano raccolto successi, ora il nuovo «Superunknown» (A&M, 1 ed) è balzato immediatamente in testa alle classifiche americane, canadesi e australiane. Segnali precisi di lavoro fatto in sintonia con ciò che cercano i giovani. «Superunknown» graffia come la prosa iperrealistica dello scrittore Kurt Vonnegut. Ma non sono le parole, bensì lo stile musicale a giocare la parte decisiva. Ha l'impatto aggressivo del- oent I care ] rim l'hard rock, le volute chitarristiche della psichedelia, gli equilibrii dell'art rock. Come si vede di nuovo c'è la ricetta, non gli ingredienti. A cercare a ritroso, i loro punti di riferimento principali sono Led Zeppelin ed Aerosmith. La bella voce di Chris Cornell arringa, lotta con un sound profondo, arrembante, ricco di colori, anche se a dominare sono le tinte scure, tenebrose. E pensare che Cornell ha dichiarato: «Gran parte del sound di questo album viene da quelle canzoni che normalmente non avremmo mai provato a suonare». Alla fine aleggia un clima da Anni Settanta riveduti e pessimisti. Altri invece non sono ripartiti. Ad esempio Nina Hagen. Era partita agli inizi degli Anni Ottanta come pasionaria del punk tedesco, quello più greve. In breve fu prigioniera dei suoi eccessi vocali e da un'abbigliamento da fiera del kitsch, dai suoni che definire pesanti è poco. Ora torna con «Revolution Ballroom» (Mercury, 1 ed) con nobili compagni di viaggio: produttore è Phil Manzanera, vecchio chitarrista dei Roxy Music; tra gli ospiti c'è Dave Stewart. Ma Nina Hagen si conferma reginetta di un desueto music-hall rock. Arrota platealmente la erre, ripete il suo numero di cantante alternativa, mischia blues-rock e dance, cerca di mmmmmmmmm wmmmmmmmmm riaccendere una fiamma da tempo spenta. Si tratta insomma di un disco curioso ma un po' pedante, in linea con il suo passato. Chi cerca di divertire è invece Angelique Kidjo con «Ayé» (Mango, 1 ed). Lo fa con il caleidoscopio di suoni e ritmi dell'Africa e del reggae. Più che musica etnica però ci si ritrova in mezzo a musica techno o, per usare fantasia, alla tribal dance. D'altronde per registrare questo disco la ragazza è finita tra le braccia musicali di Prince a Minneapolis e poi a Londra tra quelle di Will Mowat dei Soul II Soul. Detto tutto questo, dietro la robusta ed eclettica voce della giovane ragazza del Benin, piccolo Stato ai confini della Nigeria, si sentono soprattutto le esperienze che Miriam Makeba ha attraversato qualche decennio fa. Niente da dire, un disco divertente. Ma tutto il gioco delle differenze sta negli obiettivi: Kidjo pensa alle discoteche d'Occidente, Makeba invece ci regalava l'anima africana. Uscendo da questo lavoro di rimandi, un'iniziativa che permette di guardare al passato prossimo con un occhio al portafogli. La Virgin ha inaugurato la sua serie economica «Prezzo vero». Trenta titoli in compact disc del repertorio italiano e internazionale offerti a quindicimila lire. Tra i connazionali troviamo cinque ed dedicati al Banco, tre a Edoardo Bennato («E' arrivato un bastimento», «Kaiwanna», «Live! E' gol»), nove dei Matia Bazar, Marco Carena, Alberto Solfrini, Cccp-Fedeli alla linea. Tra gli stranieri Joan, Baez, Roy Orbison, Peter Hammill, Heaven 17. Una chicca particolare la ripubblicazione della versione orchestrale di «Tubular Bells» di Mike Oldfield. Alessandro Rosa

Luoghi citati: Africa, Benin, Londra, Minneapolis, Nigeria, Seattle