Maestri veneti nel castello

Una mostra fiorentina ripercorre la storia di un artista controcorrente Belluno. Capolavori di Praga Maestri veneti nel castello ITU BELLUNO I,1 SISTE un qualcosa di w\ metafisico nell'incontro I i fra la silenziosa, civilisti sima placidità di questa cittadina ai piedi delle Dolomiti, cuneo veneziano fra Tiralo e Friuli, e pochi, trentuno, ma in buona parte eletti residui di un gran concentrato di arte veneziana, veneta e di stampo veneto: quello che la passione degli Asburgo, da Rodolfo II, re ceco e Imperatore, all'arciduca Leopoldo Guglielmo, insediò fra '500 e '600 nel castello di Praga. La mostra è aperta fino al 21 settembre. Catalogo Electa, in cui Eliska Fucikovà ricorda che Carlo di Lussemburgo, il futuro imperatore Carlo IV fondatore delle glorie artistiche di Praga, nel 1337 conquistò Belluno agli Scaligeri come capitano veneziano. Storie strane, drammatiche, fascinose. Rodolfo II, inquieto e alchemico, predilige l'incontro fra maniera e realtà, un connubio molto eterodosso, donde il trionfo del secondo '500 veneziano e l'impronta che trapassa dai Bassano al Veronese, dallo Schiavone al giovane Tintoretto. Cristina di Svezia, alla fine della guerra dei Trent'anni, fa saccheggiare dal suo esercito protestante il castello di Praga, ma scopre che i capolavori veneziani erano già finiti a Vienna. Leopoldo Guglielmo reintegra una seconda volta la collezione con opere che erano prima nelle mani fastose di lord Buckingham, quello dei «Tre Moschettieri». E' questa, ad esempio, la provenienza delle dieci Storie dell'Antico e Nuovo Testamento, del vecchio Veronese e collaboratori, di cui otto furono portate a Vienna fra '700 e '800 lasciando nel castello la Lavanda dei piedi e l'Adorazione dei pastori, qui esposte. Nonostante la collaborazione, probabilmente anche del figlio Carletto Caliari, emergono ancora momenti di altissima qualità pittorica, e più nelle parti di «genere» che nelle figure sacre. Nelle prime affiora lo scambio con la maturità di Jacopo Bassano (in un documento del 1797, dimenticata la paternità originaria, proprio al Bassano furono attribuite le due grandi tele), fino allo stupefacente zampognaro dell'Adorazione la cui sacca dello strumento è av¬ volta, con gran bravura pittorica, in un panno nero filettato in rosso, di effetto quasi scozzese. Spicca ovviamente a confronto uno dei più eccezionali fra i rari ritratti del Veronese, quello del gioielliere e antiquario Jakob Kònig, amico del pittore e di casa sia a Venezia che alla corte di Rodolfo II. Qui veramente, a parità di tempi e di linguaggio pittorico, si può impiantare il dibattito su e con Tintoretto ritrattista seriale: la chiave consiste forse nel fatto che lo spessore anche splendente della superficie pittorica non può del tutto sostituire quello della partecipazione e del coinvolgimento umano e psicologico, a tutto vantaggio della straordinaria «presenza» di questa immagine di un'intera, intrigante civiltà e cultura fra Venezia e la Praga di Rodolfo II. Al giovane Tintoretto sono riservate le glorie e qualità più specifiche, con l'Adorazione dei pastori e il Cristo e l'adultera degli anni 1540, che aggrediscono la Venezia tizianesca con versioni fantasmatiche e aggrovigliate delle storie sacre anche le più famigliari, arroventate di rossi e di gialli aranciati e di blu bizantini preannuncianti El Greco. Il quale Greco secondo note manoscritte al Vasari recentemente scoperte, privilegiava, invece, il Bassano: il quale è fantomatico a sua volta nel Buon samaritano non finito, ma con cupezze preromantiche che, attraverso Rembrandt, arrivano a Géricault e al giovane Delacroix. Jacopo Bassano è esposto giustamente a confronto con Tintoretto. La «Sala Bassano» è invece riservata alle opere pastorali, al neonato «genere» rustico che affratella il contado veneto con quello dei Paesi Bassi di Pieter Brueghel, in cui trionfano, su prime idee del padre, i figli Francesco e Leandro, anch'essi grandi amori di Rodolfo Imperatore, quasi come riscatto del reale naturale rispetto alle metamorfosi alchemiche. Le ultime meraviglie, su questa scia e varcata la soglia del '600, sono riservate alla «naturalità» pittorica di Saraceni e di Feti, che innesta echi caravaggeschi sulle luci colorate soprattutto del Veronese. Marco Rosei Francesco Da Ponte, «Estate». E' una delle opere esposte a Belluno dalla collezione degli Asburgo nel castello di Praga