Un saltimbanco a Mosca

FELLINI FELLINI Un saltimbanco a Mosca «"Basterebbe una pietra rettangolare in un prato verde e magari una panca per chi vuole tenerci compagnia". La valle, Federico, desidera stare vicina al tuo nome». Queste parole di Tonino Guerra dedicate a Fellini, incise nel marmo, il 4 aprile inaugureranno a Petrella Guidi, in Valmarecchia (Pesaro) il «Campo dei Nomi». Una lapide per Giulietta Masina recherà la frase detta da Federico un anno fa, la notte degli Oscar: «Per favore, Giulietta, smetti di piangere». E intanto Guerra racconta per noi un sogno sull'amico regista. fii I E' chi ogni tanto immagina I ' j\soste su isole incantate per 5 soddisfare desideri imposI i sibili da ottenere in altra \a I maniera e chi, invece, si spinge mentalmente a nascondersi in luoghi segreti e miserabili quale forma di falso suicidio per un dispetto agli altri e magari una punizione contro se stessi. A me capita spesso questa fuga dalla realtà che mi circonda, per vivere in un esilio sperduto e sofferto soltanto nell'immaginazione. Mi sembra di essere inventore di un sogno misterioso che ha la facoltà di ampliarsi, di tanto in tanto, fino a prendere la consistenza di un'altra vita parallela e completamente diversa. L'appartamento che ho scelto per queste mie fughe mentali si trova in un quartiere alla periferia di Mosca dove i palazzoni si avvicinano ai laghi di Kossinò. Lo vidi quando ancora era abitato da una vecchia attrice georgiana. Due camere gonfie di cuscini e con tanti specchi alle pareti per aumentare la presenza di se stessa e così tenersi compagnia nella solitudine dei suoi ultimi anni di vita. Ora mi hanno detto che quel mondo è abbandonato e impolverato. E così è proprio in quell'appartamento che mi rifugio con la fantasia quando sono arrabbiato col mondo e con me stesso (...). Ma soprattutto mi muovo attorno a questi scuri palazzoni di periferia che sembrano poggiare su nuvole azzurre di vetrate che chiudono negozi vuoti. Un quartiere dove la notte è fatta di aria granulosa e umida e la luce si squaglia come se fossero delle uova marce scagliate contro i vetri delle finestre. Attraverso boschetti radi e nel bianco della neve incontro giovanotti che scivolano sugli sci e portano a spasso cani. Corvi che gracchiano fanno cadere polvere di neve dai rami. L'altra sera un uomo incappucciato si ò messo a pedinarmi. Allungo il passo anche se il ghiaccio rallenta la fuga. Raggiungo una porta ma lo sconosciuto mi impedisce di entrare. Tira fuori da una tasca un cartoccio e cerca di aprirlo con cura. Immagino si tratti di un coltello e comincio a urlare. La mia voce s'infila in mezzo al gracchiare dei corvi. L'uomo mi mette sotto il naso il cartoccio aperto. Sento un grande odore di salame. Mi dice con voce amica: «E' buonissimo. Corri a comprarlo al negozio prima che lo finiscano. Costa molto poco». Si allontana. E io resto a godermi la mia paura che si sgonfia togliendo tutta la forza dalle gambe. E' proprio quella sera lì che tornando a casa vedo nel vicolo stretto in fondo ai vetri del lungo negozio vuoto una figura d'uomo che mi pare di riconoscere. Cerco di raggiungerlo ma lui si gira per allontanarsi. La schiena con dei gonfiori che tolgono quasi completamente la struttura del collo mi dice in modo definitivo che si tratta di Fellini. Allora lo chiamo e lui si ferma senza girarsi. Così lo raggiungo, ma nella paura di essermi sbagliato gli resto alle spalle. Tocco quella schiena per sentire se non fosse soltanto una presenza irreale creata dalla mia immagina¬ zione. La stoffa morbida di lana preziosa copriva un corpo solido e vivo. Ma allora per chi era stato fatto quel grande funerale a Rimini nel mese di ottobre? I gonfiori della giacca si scompongono e lui si gira per abbracciarmi. «Che cosa fai a Mosca?», gli domando. Sorride e mi dice con voce divertita: «Giro un film». «Quale?». Resta in silenzio e si tocca i pochi capelli sopra le orecchie. «Vedo che ti sono cresciuti», gli dico ricordando la sua lotta per fermare la caduta dei capelli. «Ho trovato un unguento cinese molto buono». «Insomma stai bene e lavori». «Ti ricordi quell'idea che avevamo prima di E la nave va»? «I carabinieri!». «Sì, la parata dei carabinieri a cavallo in alta uniforme finché succede il patatrac». «Ma qui non ci sono carabinieri». «La risolvo con la parata dell'armata di Budionny nel 1925 sulla Piazza Rossa... Prima passano i ca- valieri coi colbacchi alti che trascinano i tacianki che sono le carrette con i cannoncini e subito dopo avanza tutta l'armata a cavallo in tante file di venti e con la divisa a righe rosse sul petto. Testa alta, forza negli occhi, cavalli allineati e saltellanti a ritmo uniforme. Li sta guardando 0 generale Budionny che è sul cavallo persiano davanti alle tribune di legno. D'improvviso un cavallo inciampa trascinando a terra il cavaliere e subito altri e altri e altri sono coinvolti nella caduta che diventa un groviglio totale di gambe, corpi, teste, bandiere, spade e nitriti per tutta la Piazza Rossa. Una lotta inutile per una risistemazione ormai impossibile. Deretani di cavalli che scuotono schiene di pelo sudato, escrementi che esplodono dai ventri compressi negli sforzi scomposti, cavalieri trascinati dalle briglie perdono brandelb di vestiario e soprattutto stivali. Urla, neve, copricapi che rotolano davanti al generale Budionny. Si fa sera e sulla piazza continua la lotta disperata di uomini e cavalli per ritrovare l'equilibrio perduto. Alcuni fasci di luce piovono su questo mondo disperato e di tanto in tanto, colpiti da bagliori violenti, appaiono musi di animali infuriati e gambe di soldati attorcigliate ai finimenti. Ma ecco che in mezzo a tutta quella carne agitata appaiono frammenti di statue, teste scure di Stalin che rotolano, lettere di parole che formavano slogan comunisti sui palazzi, lapidi con falce e martello. Insomma tutti i simboli che hanno resistito fino a poco fa mescolati con i protagonisti di quella sfortunata caduta. Sul cavallo bianco ora il generale Budionny sta piangendo per questa infinita sconfitta». Federico smette di parlare e aspetta il mio commento. «Meraviglioso... anche se la tua denuncia mi sembra un po' troppo scoperta...». «La denuncia di che cosa? Io sono un saltimbanco e basta... Non dichiaro mai niente... invento delle immagini...». Resta in silenzio, poi scrive qualcosa sulla polvere che copre il vetro del negozio: «Non bisogna aprire la porta del mistero». Sul dorso della mano ho rivisto le tante lentiggini color tabacco che una volta abbiamo anche contato: erano una trentina. Si muove in silenzio sulle croste di ghiaccio e scompare girando all'angolo di un palazzo su cui piove una luce polverosa. Tonino Guerra Una lapide nel «Campo dei nomi» e il racconto di un «sogno» fantastico-surreale: li ha dedicati al grande regista e alla Masina lamico Tonino Guerra «Cosa fai in Russia?, gli chiedo Sorride: Giro un film» O 8 3 17 ^^^^^ STAMPA DOMENm. «Cosa fai in Russia?, gli chiedo Sorride: Giro un film» FELLINI A fianco, Tonino Guerra, grande amico e collaboratore di Fellini Sotto, la Masina. Al centro, Fellini. Sulla lapide dell'attrice ci saranno le parole dette dal marito la notte degli Oscar: «Per favore, Giulietta, smetti di piangere».

Luoghi citati: Mosca, Pesaro, Rimini, Russia