Visconti i tic del genio

Renzi e il regista «segreto» Renzi e il regista «segreto» Visconti i tic del genio /RARISSIMA Livia, vedia I mo insieme quali siano I le cose più urgenti da di- I i scutere, nella speranza _WJdi un accordo soddisfacente a tutti e due. lo mi trovo senza un soldo e mi trovo allettato a spendere ogni giorno di più per soddisfare le continue richieste delle donne con le quali divido l'insonnia delle mie notti». Così inizia una lettera del tenente Franz Mahler alla contessa Livia Serpieri, i due protagonisti di Senso di Luchino Visconti. Una lettera ovviamente immaginaria come Franz e Livia, mai mostrata nel film, e tuttavia scritta a mano in caratteri ottocenteschi e puntualmente datata «Verona, 16 giugno 1866». Insomma un pezzo documentano - come il biglietto da visita di Franz v. Mahler, o i cassetti pieni di biancheria della villa di Aldeno, o i mille particolari autentici che nel film non si vedono che fa parte di quell'arredamento puntiglioso, di quella mania realistica, di quel bisogno di autenticità in cui immergere i propri personaggi, che costituiscono gli elementi più significativi del lavoro registico di Visconti tanto nel cinema quanto sul palcoscenico. Questa lettera, riprodotta fotograficamente e posseduta dall'autore, è una delle più gustose e rivelatrici chicche viscontiane che ci regala Renzo Renzi nel suo Visconti segreto, uscito per Laterza. Perche documenta in maniera esplicita quel «realismo» del cinema di Visconti (e del suo teatro) che sottende tutta la sua carriera, ma, come bene mette in luce Renzi, non ne condiziona l'assunto poetico, il sottofondo ideologico, i risvolti estetici. Nel senso che la necessità artistica di muoversi - lui e i suoi attori - dentro luoghi e ambienti autentici, o storicamente e filologicamente ricostruiti, non è altro che il presupposto per svolgere i più diversi discorsi sul versante dell'autobiografia, della diversità, della ricerca di una propria identità, di un recupero di quel decadentismo culturale e morale, che rimane, forse, la più vera e profonda matrice storica dell'arte e della cultura di Luchino Visconti. II quale, in questo libro fra il biografico e il critico, il riassuntivo e il propositivo, si mostra per quello che probabilmente fu: un aristocratico attratto in pari misura dal passato e dal futuro, teso a non smarrire la grandezza di una tradizione, ma anche a prefigurare, romanticamente, una società Luchino Viscon egualitaria. E in questa ambivalenza, magari costretto a «espiare» il presente, a vivere nelle più varie contraddizioni. Come scrive Renzi: «Il cinema e il teatro furono per lui l'occasione di un lungo godimento estetico, quindi di una lunga deliberazione, ma insieme anche di una lunga, molto civile, espiazione». Fra godimento estetico ed espiazione civile, l'opera di Visconti pare attraversare la società e la cultura italiana a ritroso dal neorealismo al decadentismo, da Verga (La terra trema, ma prima ancora il progetto dell'Amante di Gramigna) a D'Annunzio (il suo ultimo film L'innocente), alla ricerca di un filo rosso che potesse unire tradizione e invenzione (che è anche il titolo di un suo scritto del 1941), passato aristocratico e futuro socialista. Tentativo probabilmente fallito sul piano dell'ideologia e dell'impegno politico, ed anche contraddittorio sul piano dell'arte; ma ricco di spunti formali, lungo il tracciato di un gusto e una sensibilità che trascendevano i confini di quel contenutismo greve che fu per molti anni il contrassegno ideologico del realismo. Perché Visconti fu, prima d'ogni altra cosa, un sensibile e acuto indagatore di ambienti e «spaccati» familiari, uomini e donne in crisi d'identità, figure e momenti della storia e dell'attualità sottesi da una grande sofferenza vitale, alla luce di quel senso della morte, della finitudine e dell'umana solitudine, che è uno dei cardini della poetica del decadentismo. Ma fu anche, attraverso il suo gusto e la sua cultura, raffinatissimi, un sognatore e un utopista. Mettendo in atto, nella sua opera, quella che Renzi chiama «la violenza del gusto» e che descrive in questo episodio, illuminante ed emblematico: «Un mattino, preparando la giornata di lavoro, un incaricato della produzione si presentò a Visconti per chiedergli non so quale informazione. Senza rispondergli, Visconti guardò la camicia-maglietta del suo interlocutore (in realtà una di quelle che usavano allora, con il collo incorporato di un altro colore, tra il grigio e l'azzurrino), quindi, con un gesto deciso e senza alcun commento, la prese appunto dal colletto e gliela stracciò, fino alla cintura». Grande, aristocratico, inarrivabile Visconti!

Luoghi citati: Aldeno, Verona