L'Inghilterra lo esalta. In Italia, dopo Tangentopoli, è più insulto che mai Maggiordomo politica e servitù

L'Inghilterra lo esalta. In Italia, dopo Tangentopoli, è più insulto che mai L'Inghilterra lo esalta. In Italia, dopo Tangentopoli, è più insulto che mai MAGGIORDOMO Politica e servitù SROMA EPPELLITA nel disonore l'epoca dei portaborse, ben venga la nuova pri—J mavera dei maggiordomi. Ammirando come modello di stile e di moralità l'inappuntabile professionalità, il rigore quasi ascetico, la fedeltà, la puntualità, l'accuratezza, l'irreprensibile dignità del butler magistralmente interpretato da Anthony Hopkins in Quel che resta del giorno di Ivory, ferisce ancor di più il ricordo dell'improntitudine pacchiana, dell'avidità famelica, dell'arroganza sfrontata di quella folta schiera di «yesmen» che ha spolpato la politica italiana facendosi strada col servilismo e l'indecenza adulatoria. Due generi opposti di «servizio»: la virtù discreta del maggiordomo e l'ansia di sottomissione del servo furbo, la solidità rassicurante del servitore e la volubilità infida del cortigiano senza scrupoli. Due modelli, due immagini antitetiche. Ma anche una sottile insidia della nostalgia, il rimpianto di un (supposto) tempo che fu, un inconsapevole bisogno di tornare indietro per poter andare avanti: un miscuglio bizzarro, davvero in controtendenza in questi tempi di «o di qua o di là», di conservatorismo e di progressismo. Attenzione, però, che la nostalgia gioca brutti scherzi. Con la consueta brutalità i numeri dicono che in Inghilterra dei circa 30 mila maggiordomi del 1939, ne sono rimasti appena settanta: l'ethos democratico, alla lunga, finisce per stritolare le tradizioni più tenaci. E inoltre, bastasse davvero quel verde intenso e inconfondibile che circonda le straordinarie dimore dell'aristocrazia britannica per poter trasferire anche in Italia le abitudini di inflessibile compostezza e abnegazione incarnate dal personaggio di Hopkins. Le parole di Franco Ferrarotti sono sufficienti a chiarire il divario incolmabile tra le due società: «Soltanto in una società molto sicura di sé come quella inglese può nascere un perfetto butler. Solo in quella società, una delle più classiste tra quelle conosciute e che vive nel culto delle tradizioni, si è culturalmente capaci di accettare e elaborare l'asimmetria sociale, di far sì che i ruoli tradizionali vengano vissuti come ruoli appaganti, di conferire dignità a ciascun ruolo, anche a quello subalterno. La società italiana è tutta diversa: da noi non si sogna altro che diventare altro da se stessi. Da noi, come aveva lucidamente compreso Leopardi, vigono le "usanze", modi abitudinari di comportamento, e non i "costumi". Senza considerare che in Italia, se si eccettua l'aristocrazia nera e papalina, non abbiamo mai conosciuto un ceto aristocratico autoctono». Da noi in Italia, «maggiordomo» è una brutta parola, evoca il lato peggiore connesso a qualsiasi rapporto di subordinazione. Da noi può accadere che in piena L'album, del '23, illustrato dalla madre, disegnatrice di moda PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Cercheremmo invano nelle bibliografie celiniane la «Storia del piccolo Mouck». Eppure proprio questa breve fiaba, che il medico Louis Ferdinand Destouches scrisse ventottenne per la figlia Colette, doveva segnarne l'esordio in letteratura. Un battesimo quantomai lontano dai successivi approdi. Celine il visionario, il dissacratore, il profeta di un nuovelinguaggio, arriverà con gli Anni 30. E sarebbe ugualmente inutile cercare in filigrana antisemitismo e pregiudizi razziali. Anzi, l'eroe del piccolo racconto e parecchi fra i personaggi hanno la pelle scu- campagna elettorale Roberto Formigoni si senta in dovere di precisare che non sarà «mai il maggiordomo di Occhetto». Da noi volano gli insulti e ci si rinfaccia l'accusa di essere «servo» e per di più «sciocco». In una competizione politica trasformata in un campo di battaglia senza esclusione di colpi sul manifesto Marco Buscetta suggerisce «ai Fede», «ai Ferrara» (nel senso di Giuliano, che le voci «beninformate», smentite dall'interessato, accreditano come il giornalista che si cela dietro il «servo sciocco» dell7ndipenden£e) e persino «ai Pannella» la lettura di «un piccolo capolavoro»: il Nipote di Rameau di Denis Diderot, «fitto dialogo tra un progressista intelligente, e dunque dubbioso, e un leccaculo tanto lucido da sconfinare nella sovversione», dedicato agli «avventurieri della Seconda Repubblica» affinché coltivino «anche nella servitù e nell'abiezione un nocciolo folgorante di pensiero critico». Altro che elogio del maggiordomo. Per scorticare Raimondo Vianello, reo di aver concesso un indebito spot elettorale prò Berlusconi, Michele Serra suYUnità lo paragona a un «servente d'alta classe» («pareva Battista il maggiordomo», aggiunge Serra, ricorrendo a uno stereotipo tanto abusato quanto doloroso per chi cerca di portare decorosamente quel nome) «che non ha bisogno di obbedire a un ordine, perché già di suo sa come esaudire i desideri del padrone senza neppure dare a Milord lo sconveniente affanno di dover chiedere». Risorge il fantasma del servo, del lacchè. Nonché il sospetto che l'avversario politico altro non sia che un gregario desideroso di assecon- Louis Ferdinand Celine con la moglie Edith Follet ra, complice - non escluso - il soggiorno lavorativo in Camerun da cui Celine era reduce. L'albo fu redatto nel gennaio '23, e nessun editore se lo vide mai proporre. Era un divertissement familiare. Il papà scriveva il testo, la mamma Edith Follet, futura disegnatrice di moda - lo illustrava. E dergenricoraltnobprodermindebcomque L'inedito scoperto «annullare ogni ambizione» formulata da McAlphine: «Il portaborse è uno scalatore sociale, che vuole sì ricavare vantaggi dalla sua posizione ma per abbandonare al più presto lo scalino in cui si trova. Il maggiordomo no, lui è felice di esserlo, svolge il suo lavoro al meglio e con scrupolo, risponde a una vocazione con il culto del servizio ben fatto». Dunque, secondo l'ex «Servitore» della Thatcher, servizio sì ma al servizio di una grande Idea. Sarebbe un'ipotesi suggestiva, specialmente in un Paese in cui, in epoche passate, ha fatto breccia nel «ceto dei colti» l'idea gramsciana che gli intellettuali dovessero essere «organici» a un Grande Progetto incarnato da un Partito che si configurava senza ombra di dubbio come «il moderno Principe». Ma un intellettuale liberale come Marcello Pera, che pure ha di recente sottolineato come le nefandezze di Tangentopoli possano farsi risalire a una specie di rivolta di Leporelli che «non vogliono più servir» e pren¬ Raimondo Vianello e (a sinistra) Tonino Tato segretario di Berlinguer governo»: «saper evitare le piccole frodi»; mantenersi in «costante stato d'allerta annullando qualsiasi ambizione personale»; «dimostrare grande sicurezza in quello che fa, senza però arroganza né presunzione, che sono sempre sospette». Utile decalogo, peraltro non privo di massicce dosi di cinismo, per il Servitore-maggiordomo della politica che non voglia assomigliare ai portaborse del passato regime. E del resto tra il maggiordomo e il portaborse corre secondo Ferrarotti una differenza fondamentale, appena accennata da quella esortazione ad dopo 70 anni: un diverti

Luoghi citati: Camerun, Inghilterra, Italia, Parigi