Bergman il chirurgo dell'inferno di Gianni Rondolino

22 Comincia oggi a Torino la più grande rassegna delle sue opere, dopo l'addio al cinema Bergman, il chirurgo dell'inferno Per la prima volta in Italia la produzione giovanile Manca una sola opera del '50: «Questo non succede qui!» TORINO. E' ancora attuale il cinoma di Ingmar Bergman? Onci film di 10, 20 o trent'anni fa, in cui i personaggi esprimono lo loro angosce, spesso dilaniandosi a vicenda sullo sfondo di paesaggi incontaminati o all'interno di dimore tristi e prive d'aria, ovvero liberandosi del passato attraverso una sorta di autocompiacimento memoriale? Possiamo ancora avere un rapporto coinvolgente, un'adesione totale e commovente a quelle storie di fallimenti esistenziali, a quelle tragedie familiari in cui pare clic lutto debba crollare in un mondo privo degli antichi valori, delle certezze religiose? Che cosa possono ancora dirci oggi l'Antonius Bock del «Settimo sigillo» o l'isak Borg del «Posto delle fragole», Albert e Manda Vogler del «Volto» o Karin e Martin di «Come in uno specchio», Tomas e Marta di «Luci d'inverno», Ester e Anna del «Silenzio»? Ci toccano ancora i drammi di «Persona» o della «Vergogna», di «Passione» o di «Sussurri e grida», di «Scorie da un matrimonio» o di «Sinfonia d'autunno», ovvero la grande saga familiare di «Fanny e Alexander»? E che dire dei primi film di Bergman, quelli realizzati fra il 1946 e il 1955, da «Crisi» a «Sonisi di una notte d'estate», alcuni dei quali non mai giunti sui nostri schermi? Quelle storie di amori giovanili, di sentimenti appena manifestati, di contrasti drammatici magari ingenui, ma già ricchi d'una dimensione morale forte, ed anche d'un pessimismo e d'una malinconia sottilmente presenti? La grande, completa (manca un solo film del 1950, «Questo non succede qui!») e affascinante retrospettiva organizzata dalla Cineteca del Comune di Bologna e dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, che prende il via oggi e si concluderà il 25 aprile, ò l'occa¬ sione migliore per rispondere a queste domande: per vedere, attraverso più di 40 film, se colui che è stato considerato uno dei più significativi c geniali registi del cinema moderno mantenga ancora quella fama. Soprattutto per verificare quanto scrive il critico-regista francese Olivier Assayas in calce al bel libro, suo e di Stig Bjorkman, «Conversazione con Ingmar Bergman», uscito presso l'editore Lindau di Torino in occasione di questa retrospettiva, di cui in certo senso vuole essere il catalogo. Scrive Assayas: «Il cinema di Bergman ò attraversato da un costante confronto con il reale. La sua lucidità, di un'acutezza chirurgica, non rinvia ad altro che a noi stessi, alla nostra esperienza o ai nostri timori più nascosti. Sogno, realtà, piacere, dolore sono come punti cardinali che strutturano in modo più sicuro di qualunque drammaturgia un cinema preoccupato della verità delle nostre emozioni». In un periodo in cui molto cinema contemporaneo pare che si interroghi soprattutto su se stesso e sulle sue possibilità tecnico-formali, preoccupato magari di sfoderare la sua alta tecnologia, gli effetti speciali, la spettacolarità dei nuovi mezzi, piuttosto che di immergersi nella realtà quotidiana, è probabile che una visione, o una revisione, dell'intera opera di Ingmar Bergman, film per film, anno per anno, costituisca un utilissimo antidoto aH'«immagine per l'immagine», allo schermo come semplice luogo dello spettacolo in quanto tale. Perché ciò che colpisce in Bergman, almeno nei suoi film più complessi e sofferti, è la sua straordinaria capacità di coniugare spettacolarità e intensità, fascino dello stile e profondità di visione, coinvolgimcnto del pubblico e indagine esisten¬ ziale. Come se dal suo cinema dovesse nascere un perenne conflitto fra la realtà e la sua rappresentazione, verità e finzione, tragedia dell'esistenza e piacere dello spettacolo. Di qui il suo meticoloso lavoro con gli attori, la sua cura di ogni particolare ambientale, persino la sua mania por la precisione formale assoluta. Ma di qui anche la passione, la forte emotività delle sue storie, il carattere intenso dei suoi personaggi. Come scrive Assayas: «Qui sta molta della grandezza di Bergman, in questa attenzione alla sofferenza degli esseri, in questa conoscenza del loro dolore». Gianni Rondolino

Luoghi citati: Comune Di Bologna, Italia, Torino